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 2015  ottobre 17 Sabato calendario

A Gerusalemme devastata la tomba di Giuseppe. Altri morti nella Striscia di Gaza. Il sindaco Nir Barkat gira con la pistola, e la esibisce

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME. La tomba di Giuseppe era già stata incendiata 15 anni fa, anche allora agli inizi di un’altra intifada. Questa volta un centinaio di giovani palestinesi ha marciato verso il luogo venerato dagli ebrei, circondato dai cubi grigi del campo rifugiati di Balata a Nablus. Hanno lanciato le molotov dentro l’edificio, sono entrati per spargere benzina. A quel punto le forze di sicurezza del presidente Abu Mazen sono intervenute per respingere la folla e i pompieri hanno spento le fiamme.
Quella che gli estremisti arabi hanno devastato è anche una moschea, così era stata restaurata e trasformata dell’Autorità di Ramallah dopo la prima distruzione. Per la tomba del profeta biblico lottarono anche samaritani e cristiani in epoca bizantina. I musulmani dicono che lì è seppellito un loro leader religioso del periodo ottomano, gli israeliani la vogliono inserire nella lista dei loro monumenti storici e sacri come la grotta dei Patriarchi a Hebron e la tomba di Rachele a Betlemme. Quando la situazione è calma – non come in queste settimane – l’esercito permette agli ultraortodossi di visitarla una volta al mese, la notte e sotto scorta.
Abu Mazen ha condannato l’attacco («è contrario alla nostra morale e alla nostra religione») e promette di arrestare i responsabili. Dore Gold, diplomatico israeliano, denuncia: «L’incendio dimostra quello che succederebbe se i luoghi sacri di Gerusalemme venissero lasciati nelle mani dei leader palestinesi. Solo noi possiamo garantirne la protezione per tutte e tre le religioni». Israele respinge anche qualsiasi ipotesi di tutela internazionale per il Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee per i musulmani sunniti) come ripete Danny Danon, nuovo ambasciatore alle Nazioni Unite: «Cambiare le regole in vigore da decenni non sarebbe utile e non porterebbe la stabilità».
In quella che Hamas e la Jihad Islamica hanno chiamato «giornata della rabbia» gli scontri sono stati intensi soprattutto in Cisgiordania. Un palestinese travestito da giornalista (con la scritta «Press» sulla maglietta) ha cercato di accoltellare un soldato a un posto di blocco ed è stato ucciso. Si era potuto avvicinare solo perché aveva mostrato la macchina fotografica e aveva finto di essere un reporter.
Nella Striscia di Gaza dopo la preghiera del venerdì in centinaia hanno marciato ancora una volta verso la barriera che dividela Striscia da Israele. I soldati hanno respinto la folla che tirava pietre e molotov cercando di abbattere il reticolato, due palestinesi sono stati uccisi (un altro negli scontri vicino a Nablus, in Cisgiordania).
I quartieri arabi nella parte orientale di Gerusalemme restano chiusi e circondati dalle guardie di frontiera. La misura è stata decisa dal governo di Benjamin Netanyahu per fermare gli attentati che colpiscono gli israeliani dal primo ottobre, sette sono stati ammazzati.
John Kerry, il segretario di Stato americano, dovrebbe incontrare Netanyahu la settimana prossima a Berlino per poi arrivare in Medio Oriente e riunire insieme ad Amman il re di Giordania, il premier israeliano e Abu Mazen. In novembre un vertice simile era servito a riportare la calma e a tranquillizzare gli arabi: restano convinti che gli israeliani vogliano cambiare le regole di accesso alla Spianata e permettere agli ebrei di pregare tra le moschee. Le smentite e le rassicurazioni (Netanyahu ha proibito a ministri e deputati di visitare l’area) non sono bastate.
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Mentre Israele vincerebbe a mani basse qualsiasi guerra con i vicini e potrebbe venire a capo di una classica intifada colpendone le centrali vere o presunte, contro questo caos, esteso dalla Cisgiordania al territorio nazionale — dove è in questione l’asimmetrica coesistenza fra minoranza araba e non troppo omogenea maggioranza ebraica — il governo di Gerusalemme si scopre quasi inerme. Sicché gli ebrei israeliani ricorrono al fai-da-te, allestendo squadre di vigilantes o semplicemente girando armati, come il sindaco della capitale, Nir Barkat, che ostenta la sua pistola davanti alle telecamere. E a scanso di equivoci twitta (8 ottobre): “Attentati terroristici a Gerusalemme possono essere prevenuti grazie alla rapida risposta di cittadini responsabili. Detentori autorizzati e addestrati di armi possono salvare vite” (Lucio Caracciolo, la Repubblica).