Libero, 16 ottobre 2015
Le adozioni gay, la riforma della giustizia, lo strappo da Berlusconi e la crisi di Ncd, i rapporti con Renzi: intervista a Enrico Costa (Ncd), viceministro della Giustizia. «La giustizia è il punto di maggiore distanza tra noi e il Pd. La grande riforma è un’invenzione giornalistica: quella vera si fa con piccoli provvedimenti coerenti tra loro»
È sempre meno fanciullone di provincia Enrico Costa, oggi viceministro della Giustizia di Ncd.
Ogni volta che lo rivedo dopo qualche anno, le sue origini langarole (è della ridente Mondovì) si stingono sempre di più, lasciando il posto a un uomo di mondo un po’ scettico e un tantino relativista. Quando, a metà intervista, gli ho chiesto se avrebbe seguito Matteo Renzi sulla strada delle adozioni gay, non ha detto “no” come sarebbe accaduto anni fa sotto il duplice influsso del padre Raffaele, l’ex ministro liberale e conservatore, e della visione cuneese della vita fatta di galli e galline, capri e capre, uomini e donne e del tutto ignara ahimè del gender. L’Enrico metropolitanizzato se n’è infatti uscito così: «Nel mio partito (contrario alle adozioni gay, ndr) sono la minoranza della minoranza. Per me, si dovrebbe soddisfare ogni sensibilità individuale. Se perciò una coppia gay lo desidera, adotti pure. L’Italia, tuttavia, non è pronta per una rivoluzione che la farebbe passare da zero a cento. Meglio andare per gradi con un primo provvedimento che accantoni il tema dell’adozione ma non escluda di ripescarlo in futuro».
L’ufficio del viceministro è degno del suo grado. L’ampia stanza con arredamento all’antica ha un salottino annesso in cui sediamo su poltrone di cuoio di fattura inglese. Costa, bel giovanottone quarantacinquenne, è in maniche di camicia come un deputato della Knesset e come usa nell’era Renzi che ha esportato il look su questa sponda del Mediterraneo. «Figlio d’arte, hai fatto i primi passi sulla scia di papà. Adesso, cammini sulle tue gambe?», chiedo, senza aggiungere che sarebbe ora, essendo deputato da tre legislature, ovvero dal 2006, quando fu eletto nelle liste del Cav. «Sono stato certo favorito all’inizio – replica – sull’onda delle belle cose fatte da papà. Ho tuttora attorno tanti suoi amici del vecchio mondo liberale piemontese. A mio padre mi ispiro moltissimo. Quindi, per rispondere alla domanda: cammino con le mie gambe la cui forza viene però da lontano». «Il tuo collegio cuneese è ancora liberale come un tempo?», domando. «Anche di più – si entusiasma Costa -. Tantissimi che incontro premettono: “Io sono sempre stato liberale”. C’è un orgoglio di appartenenza non comune negli altri partiti. L’humus liberale è fertile di valori e principi». «Perché due anni fa hai scelto di mollare il Cav per Alfano?», dico di colpo. «Vissi la brusca decisione di Berlusconi di lasciare il governo Letta – risponde sull’imbufalito al ricordo- come uno strappo alla sua stessa visione di un governo di larghe intese per tirare il Paese dalle secche. Fece tutto da solo, senza consultare né preavvertire. Seppi del colpo di testa leggendo la notizia su un monitor dell’Aeroporto di Torino mentre mi imbarcavo. Ma questo è un partito? mi sono chiesto. Decisi allora di votare in ogni caso la fiducia al governo perché era quello il bene del Paese e non nuove elezioni. Anche se fossi stato l’unico di Fi. Poco dopo, Alfano e gli altri lasciarono il partito per formare Ncd e mi sono unito a loro». «Come hanno reagito gli elettori del cambio di casacca?». «Molti hanno criticato, molti hanno apprezzato. Ma la cosa è ormai alle spalle e non se ne parla più. Nel mio collegio collaboro con quelli di Fi con la vecchia amicizia di sempre, senza sgambetti, né veti reciproci. Nulla rimpiango di quel che ho fatto prima dello strappo, né dopo», dice Enrico che spegne il cellulare e si prepara a entrare nel vivo della chiacchierata.
Gaetano Quagliariello, coordinatore di Ncd, ha sbattuto la porta per l’eccessiva sudditanza di Alfano al Pd.
«Era il massimo teorico dell’alleanza organica col Pd. Ora dice l’opposto. Vorrei conoscere le ragioni di questa evoluzione del suo pensiero».
Anche Carlo Giovanardi è in fuga con altri. Che resterà di voi?
«In questi due anni, ci siamo sufficientemente radicati per resistere a piccole scosse telluriche come queste».
Ce la farai a essere rieletto?
«Non faccio calcoli. Questo mi dà grande libertà nello svolgere il mio ruolo».
Non essendo tu né santo né sciocco, non credo affatto che non pensi al futuro.
«Il segreto è questo: l’area di centro, cioè la nostra e di Casini, deve costruirsi una forte identità».
Qualsiasi cosa facciate, per sopravvivere dovrete decidere se allearvi con Pd o con Fi.
«Non è così. Se costruisci un’identità forte fondata sui principi liberali, scompare il problema della collocazione, poiché tu stesso rappresenti una cosa precisa».
Non mi pare che Casini rappresenti una cosa precisa.
«Casini si è presentato come un mediatore tra forze in lotta. Questo suo profilo ben definito lo ha fatto sopravvivere all’uscita da Fi nel 2008».
Estimatore del casinismo?
«Casini non mi dispiace, per metodo e per azione politica».
Intanto ingoiate i diktat di Renzi al quale Alfano cede di continuo.
«Renzi ha moltissime idee liberali. Per cui, non è che cediamo ma aderiamo per condivisione. Nostra funzione non è difenderci da Renzi ma bilanciare la sinistra Pd».
Spiegati.
«I provvedimenti escono dal Consiglio dei Ministri con connotati liberali ma cambiano nelle commissioni parlamentari».
Inquinati dalla sinistra Pd?
«Inquinati, no. Ho stima della sinistra Pd che ha nobili ideali. Ma nostro compito di centristi è tutelare i contenuti liberali dei provvedimenti».
Passiamo al tuo orto: la Giustizia. Avete rinunciato in toto alla grande riforma: separazione carriere, ecc.
«La grande riforma è un’invenzione giornalistica. Quella vera si fa con piccoli provvedimenti coerenti tra loro. La Giustizia è il punto di maggiore distanza tra Pd e noi. Bisogna trovare gli equilibri. Io sono per la separazione delle carriere. Farla significa però un’impervia riforma costituzionale. Dobbiamo cercare di ottenere aggiustamenti con legge ordinaria. È quel che proveremo a fare».
L’abuso del carcere preventivo prosegue imperterrito.
«Abbiamo appena approvato la legge sull’ingiusta detenzione che considera la carcerazione anticipata come extrema ratio. Si poteva essere più coraggiosi, ma sono mancate le condizioni politiche».
Infatti, Nicola Cosentino è in carcere da 18 mesi senza processo e sei ne aveva fatti prima.
«Non conosco il caso specifico...».
Dovresti.
«... ma so che dal ’92 a oggi lo Stato ha pagato 600 milioni di risarcimenti per ingiusta detenzione a 24 mila persone».
La magistratura se ne impipa. Tocca a voi politici dargli sulla voce. (Enrico si alza e prende da un mobile, dov’è in mostra, una lettera incorniciata che Enzo Tortora scrisse al padre Raffaele dopo l’ignobile arresto di trent’anni fa. Poche parole amare e un appello ai politici: “Fate qualcosa!”).
Lo dice pure lui che dovete muovervi!
«Se tengo qui la lettera che ho portato da Mondovì e guardo ogni giorno, è perché il tema che mi sta a cuore».
Poiché il tuo imbarazzo è sincero e la tua impotenza evidente, ti grazio e passo ad altro. Meglio Alfano del Cav come leader?
«Avevo col Cav un atteggiamento meno confidenziale ma provo tuttora per lui un sentimento forte, anche se non l’ho mai più sentito. Il rapporto con Alfano è più sciolto. Lui è il mio punto di riferimento. Più lo attaccano, più si rafforza».
Renzi?
«Abilissimo nell’intercettare la sensibilità degli italiani. Molto coraggioso nell’ambito del Pd verso il quale ha tenuto una linea netta, scomoda, senza mediazioni, costruendosi un’identità forte. È difficile fare i liberali tra i dem, eppure lui lo è. Perciò sono a mio agio nel suo governo».
Cittadino romano dal 2006, hai avuto tre sindaci, Veltroni, Alemanno, Marino. La palma?
«L’immagine di Roma ha avuto un momento particolarmente felice con Veltroni e particolarmente infelice con Marino. Alemanno non pervenuto».
Per il dopo Marino vi schiererete col candidato Pd o quello del centrodestra?
«Il successore andrà scelto nella società civile, gli uomini dei partiti hanno fallito. Decideremo con riguardo alla persona più che all’appartenenza politica».
Tra i due papi che da romano hai visto in azione, Benedetto o Francesco?
«Trovo che questo papa coraggioso stia cambiando la Chiesa e scaldi il cuore. E la Chiesa ha bisogno di cambiamento e di questo calore».