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 2015  ottobre 16 Venerdì calendario

Beppe Bergomi a proposito della partita fermata dall’arbitro sul 31-0 tra Giovanissimi in provincia di Bologna: «Io la partita l’avrei fatta terminare. È più umiliante dire ai ragazzi che stanno perdendo “basta, la partita finisce qui per manifesta inferiorità”»

Ho letto della partita fermata dall’arbitro tra Giovanissimi in provincia di Bologna sul 31-0. Non mi trovo d’accordo e vi spiegherò il perché. Ma voglio partire dal principio, dall’errore originario, cioè dalla riforma dei campionati giovanili. Perché se si è arrivati a questo punto la colpa è di chi ha voluto uniformare i tornei inserendo nello stesso campionato società decisamente più strutturate rispetto ad altre. E il rischio di trovarsi di fronte a partite squilibrate è aumentato.
Detto questo io la partita l’avrei fatta terminare. Il messaggio giusto che deve passare in quelle occasioni è uno solo: giocare, avanti con il gioco. Perché è più umiliante dire ai ragazzi che stanno perdendo «basta, la partita finisce qui per manifesta inferiorità». Io posso portare un paio di esempi, da calciatore e da allenatore.
Il primo risale al 19 maggio 1985, Inter-Ascoli, ultima giornata di campionato. Noi ci giochiamo il secondo posto, non più lo scudetto. Loro invece sono a un passo dalla retrocessione. Vinciamo 5-1 e io segno il momentaneo 3-1, quello che chiude la partita in pratica. Esultai, non ero abituato a fare gol. L’Ascoli retrocede in Serie B. Qualche giorno dopo, durante un ritiro con la Nazionale per una tournée messicana, l’allora c.t. Enzo Bearzot mi prese da parte e mi consigliò di non farlo più, di avere più rispetto per gli avversari. Era il messaggio giusto, lo capii e ne feci tesoro.
Altro episodio, 5 gennaio 2013, Atalanta-Treviso, campionato Berretti. Allenavo i bergamaschi. Vinciamo 11-0, ma non credevo che il divario tra le due formazioni fosse così ampio, loro se l’erano giocata contro l’Inter nel turno precedente perdendo di misura. A un certo punto ho iniziato a fare cambi, a far entrare chi giocava meno e questi ragazzi volevano mettersi in mostra, farmi vedere che stavano bene. Insomma, alla fine ne facciamo 11, rimango seduto in panchina per gran parte del match in silenzio, senza dare indicazioni. Gli occhi dei giocatori del Treviso non li scorderò mai, pieni di umiliazione.
Resto dell’idea che le partite vanno terminate, avrei fatto così anche nel caso bolognese e mai avrei chiesto all’arbitro di sospendere la partita, sia se fossi stato su una panchina sia se fossi stato sull’altra. Il messaggio deve arrivare anche ai genitori che credono di aver cresciuto un fenomeno. Le gare vanno finite per educare tutti al messaggio sportivo. A proposito, da allenatore ho perso una volta 6-0 con il Como. Niente discorsi al termine della partita, ma alla fine della ripresa una chiacchierata con i toni da carezza. Serve di più in quei casi rispetto alle urla nello spogliatoio.