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 2015  ottobre 16 Venerdì calendario

L’avventurosa parabola del Filmstudio di Roma, «il più antico, glorioso e inimitato dei filmclub italiani». Piccola grande storia della Roma delle cantine e dei “mondi sotterranei”, dove si ritrovavano Nanni Moretti e Wim Wenders, Dario Argento e Bernardo Bertolucci

La porta scorrevole con gli oblò di vetro. “La stradina un po’ umida” attraversata da Vincenzo Cerami. I carbonari che, raccontava con qualche licenza letteraria Gigi Magni: “In via degli Orti d’Alibert, avvolti in un mantello nero in una notte nera, si andavano a vedere le opere che gli intellettuali avrebbero scoperto un anno dopo”. L’avventurosa parabola di quello che per Tullio Kezich era “il più antico, glorioso e inimitato dei filmclub italiani”, il Filmstudio, è diventata un’ora di ricordi firmata da Toni D’Angelo per viaggiare nel passato. Il 21 ottobre al Festival di Roma tra schegge in super8, sale rosse, materiali d’epoca, numeri civici simili a matricole scolpiti nella memoria 1/C, manifesti e primi piani di Alberto Grifi, saranno in molti a specchiarsi e a trovare fiori in quella vecchia storia. Lavorando con materiali d’epoca e rievocando censure, chiusure improvvise, esordi, fiammate, dibattiti, sigari e motorini, D’Angelo ha messo le cose in ordine senza tradire le origini e ha dipinto un quadro d’insieme vitale, necessario, bulimico e felicemente disordinato come il Filmstudio degli inizi apparve a chi senza dover correre a Parigi poteva finalmente trovare a Roma gli autori che tra un lampo effimero e una promessa avrebbero illuso o impressionato più di una generazione.
Fu al Filmstudio che Wenders ebbe il suo battesimo romano e sempre al FilmStudio – dove Gianni Amelio sedeva in terza fila, Dario Argento incontrava le suggestioni d’oltreconfine che ne avrebbero fatto Dario Argento e Bernardo Bertolucci immaginava i claustrofobici interni che lo avrebbero portato in Francia – che Nanni Moretti propose e ottenne di mostrare al pubblico in anteprima nazionale Io sono un autarchico.
Con la Vespa, salendo sui cordoli del marciapiedi, il Moretti di ieri con i baffi e il maglione chiese ai gestori di violare il sacrario e proiettare il film nella sala grande: “L’ho finito, è venuto bene, vorrei due giorni per mostrarlo”. Si sentì rispondere con un terzo grado intriso di pregiudizio: “Il primo giorno te la cavi con i parenti, ma il secondo?”, tenne botta e oggi ricorda: “La gente accorse per ragioni oscure”.
Con gli occhi azzurri e le braccia conserte, Adriano Aprà rievoca dal divano la sorpresa di allora: “La sala si riempì il primo giorno, poi il secondo e poi ancora il terzo e il quarto senza più svuotarsi” e non si sdraia su una memoria apologetica – esattamente come evita di fare D’Angelo – descrivendo periodi di magra, piccole imprese e insuccessi con il tono lieve dell’avventura gloriosa e artigianale sempre distante dall’enfasi o dal trionfalismo inutile.
Il Filmstudio a volte infatti era vuoto e quasi per un processo naturale, dice Aprà, ai vecchi maestri dello sperimentalismo si sostituirono nuovi aedi, nuovi linguaggi e nuovi registi come il Moretti di metà Anni 70: “A me pareva – ammette Aprà – che Io sono un autarchico non c’entrasse niente con la storia del Filmstudio e invece era proprio la storia di cui fino a quel momento avevamo portato la bandiera ad ammainare le proprie ragioni cinematografiche”. Era una Roma diversa. La Roma delle cantine e dei “mondi sotterranei” evocati da Carlo Verdone: “Ma c’è un locale, stanno a suonà?”. La Roma degli assembramenti e dei litigi – anche ideologici – sul ‘temuto’ messaggio che ogni opera doveva avere. La Roma che non aveva ancora visto Valle Giulia o ascoltato Pasolini parteggiare per i poliziotti. La Roma di Americo Sbardella e Annabella Miscuglio che il 2 ottobre ’67, all’improvviso e con qualche aiuto economico dei registi impegnati: “Pochi soldi perché soldi ce n’eran pochi”, sorride Vittorio Taviani, ebbe finalmente un posto per riunirsi. Si chiamava Filmstudio. Il Kino o il Cinema America di oggi. Il tentativo di esistere quando calcolo e ragione suggeriscono di levarti dalle palle.