Corriere della Sera, 16 ottobre 2015
Aspettando il Gran Premio di Phillip Island (domenica prossima). «Valentino Rossi è un ingegnere giapponese travestito da rockstar anni 70: analizza, studia, si adatta»
Phillip Island è una bellissima isola australiana a sud di Melbourne, nel distretto di Tavullia. Quando vi trasmigra, una volta l’anno, Valentino lascia sempre il segno, vince Gran premi (è successo 8 volte, 6 in top class), conquista titoli, scrive pagine di epica a motore. Luogo sacro per il campione e i suoi fan, sembra dunque il posto giusto per sferrare l’attacco decisivo al Mondiale MotoGp.
La teoria sarebbe: se Rossi ha scavallato così bene Aragon e Motegi, allungando a più 18 su Lorenzo dove si pensava avrebbe dovuto solo limitare i danni, figurarsi che cosa può combinare qui e poi tra una settimana in Malesia, un’altra delle sue piste più amate. Tutto semplice allora? Per niente. «Questo è il campionato più difficile della mia carriera», sospira Valentino. Per natura, non dà mai nulla per scontato, men che meno adesso. La soglia di allerta è altissima, ancora più alta proprio perché entra in un territorio amico: «Qui vola anche Lorenzo (3 vittorie in carriera, ndr), Pedrosa sta benissimo, insomma la pista mi piace e evoca bei ricordi, ma non basta».
La chiave, come e più di sempre, sarà allora la testa. Rossi spiega che «serve razionalità, questo è un momento in cui è sì importante andare forte ma anche fare più punti possibile». Il riferimento, si capisce, è Lorenzo. Per adesso, lo spagnolo è uscito battuto non perché sia sfortunato – come canta il suo disco rotto da un po’ – ma perché è meno lucido nel gestire le situazioni di emergenza. Valentino invece, si sa, è un ingegnere giapponese travestito da rockstar anni 70: analizza, studia, si adatta. Non a caso ha fatto 14 podi in 15 gare (contro i soli 9 del rivale) e non a caso è l’unico andato a punti in ogni gara insieme all’inglese Smith. Si chiama esperienza. E infatti domenica Rossi eguaglierà Loris Capirossi come pilota con più Gp disputati in carriera (328): «È uno di quei primati che fanno male. Almeno cercherò di far fruttare questa esperienza. Serve per prendere decisioni meno avventate, sapere quando aspettare, come a Motegi, e capire come procede la gara, perché una corsa è finita soltanto sotto la bandiera a scacchi. Io non sono il più veloce di tutti, ma sono costante, lavoro molto nel box e sono veloce sul bagnato».
Un’analisi con un preciso destinatario: Lorenzo e la sua visione testosteronica del mondo. Ormai la tregua fra i compagni di box, avvicinandosi il momento della verità, è destinata a finire da una curva all’altra e, anche se i due minimizzano («Vogliamo la stessa cosa, un po’ di tensione è normale, ma lo sarebbe anche se lottassi con un altro», dice Lorenzo), un aspetto è evidente: le illazioni di Jorge sulla fortuna hanno punto Valentino sul vivo. E quando lui si irrita per gli altri di solito sono guai. «I nostri rapporti? Abbiamo un diario segreto su cui annotiamo tutto, lo sveleremo dopo l’ultima gara...», ha scherzato Rossi. Ma sotto il sorriso c’è un canino affilato pronto a mordere.