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 2015  ottobre 16 Venerdì calendario

Le cento e più lettere scritte da Antonioni, Germi, la Lollobrigida e altri protagonisti del cinema italiano a Gian Luigi Rondi

Decano riconosciuto della critica cinematografica italiana – a quasi novantaquattro anni continua a scrivere regolarmente sulle pagine del «Tempo», dove iniziò la sua attività di recensore nel 1947 occupandosi del film Maria Antonietta di W.S. Van Dyke II – Gian Luigi Rondi è stato per vari decenni una delle personalità più influenti (e temute) del nostro cinema, dove all’attività critica ha affiancato anche quella organizzativa e direttiva (alla Biennale, ai David, al Festival di Roma), il che gli ha offerto l’occasione per intrattenere rapporti anche privati e personali con molti protagonisti del nostro cinema. E in stagioni in cui ancora non esistevano né fax né email, le lettere erano lo strumento principale di comunicazione. Che Rondi, particolarmente sensibile ai legami umani e gran tessitore di amicizie, ha utilizzato con dovizia per anni.
Quelle firmate da lui sono disperse tra i tantissimi destinatari, ma quelle ricevute le ha conservate e archiviate, donandole infine al Centro Sperimentale di Cinematografia, che insieme alle Edizioni Sabinae ha dato alle stampe una scelta di quelle ricevute dai protagonisti del cinema italiano (quelle con registi e attori stranieri saranno raccolte in un prossimo volume).
Tutto il cinema in 100 (e più) lettere si intitola il volume, che riproduce fotograficamente le missive, tutte introdotte da un breve testo di Rondi che ne spiega l’occasione o lo spunto. A volte necessario per ricordare particolari momenti della cronaca cinematografica italiana oggi dimenticati. Come la polemica che Pietro Germi aprì nel 1963 contro i «film oscuri», che Rondi riprese sulle pagine del «Tempo» e che scatenò la reazione di Michelangelo Antonioni.
Le lettere del regista ferrarese (commosso «per gli sforzi che fai, evidentemente in nome dell’amicizia, per non citarmi») sono straordinarie per più di una ragione: per l’energia che mette nel difendere le proprie scelte estetiche («i miei film non sono oscuri. Vi volete mettere in testa che non c’è nulla da capire? Una storia è una storia: o è vera o è falsa. La noia non c’entra»), per la responsabilità che sente rispetto alle aspettative del pubblico («articoli come il tuo sono dannosi al cinema, perché sviano il pubblico (...) Sono dannosi i film inutilmente oscuri, quelli sì. Non i film sinceri e problematici perché – lo dici tu stesso – è la realtà di oggi che è problematica e indefinita cioè oscura, e qualsiasi tentativo di evadere è un atto di viltà»), ma anche perché rivelano una voglia di dialogo tra autori e critici che oggi sembra perduta per sempre.
Non tutte le lettere sono di questo tono e queste ambizioni (come lo sono anche alcune di Pupi Avati, di Francesco Maselli, di Valerio Zurlini), altre sono più amicali e scherzose, come quella di Roberto Benigni che scrive una poesia per scusarsi di non poter essere presente a una premiazione a Ischia, altre assumono quasi il tono di una confessione privata (come quella recentissima di Gina Lollobrigida o quelle di Francesca Bertini e Isa Miranda, due dive che Rondi aveva aiutato a lenire il dolore per essere state «dimenticate»), altre aiutano a ricostruire momenti particolari del cinema italiano (come quelle di Suso Cecchi e di Luchino Visconti sui problemi della mostra di Venezia). E poi ci sono quelle risentite o sospettose, come Pier Paolo Pasolini che si stupisce di voler rispondere a un biglietto d’auguri di Rondi che pure «sta dalla parte dei mostri». Molte infine sono di ringraziamenti (per una recensione positiva), di auguri e di saluti.
Si sente solo una mancanza: quella delle lettere che sicuramente Rondi si è scambiato con Giulio Andreotti, che a rigore non faceva parte del «cinema italiano», ma che sul cinema (e sull’Italia) ebbe notevole influenza. Speriamo in un prossimo libro...