Corriere della Sera, 16 ottobre 2015
L’Italia versa ogni anno 36 milioni agli atolli del Pacifico. «Siete molto generosi»
T uvalu è un atollo nell’oceano Pacifico che ha un’altezza media di un metro sopra il livello del mare. Una volta al mese tutta la popolazione, 10.000 persone, finisce con le caviglie sott’acqua. Se non succede qualcosa che ormai somiglia a un miracolo, fra qualche anno lo Stato-isola sparirà. Così è spuntata l’idea di costruire una barriera tutt’attorno. Altre isole hanno piantato mangrovie per fermare il mare. Tuvalu vuole di più, un muro. È una delle tante richieste al vaglio della Cooperazione internazionale per cercare di salvare questi gusci di noce persi nell’oceano. I loro nomi ricordano il paradiso sulla terra: Tuvalu, Kiribati, Vanuatu, Samoa, Palau, Tonga, Fiji… Sono i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici e i meno responsabili delle emissioni di CO2 e del conseguente innalzamento delle temperature e dei mari. Piccoli, ma non senza potere. Hanno tutti un seggio all’Onu, con diritto di voto, e hanno creato una lobby (Sids, Small islands developing states) che riunisce una cinquantina di piccole isole in via di sviluppo sparse nel mondo. Negli ultimi due giorni, si sono riuniti all’Expo di Milano. Al loro fianco, infatti, si schiera da tempo l’Italia che attraverso il Programma ambientale della Cooperazione italiana allo sviluppo, che fa capo al ministero degli Esteri, e i fondi del ministero dell’Ambiente ha dato sotto varie forme, negli ultimi anni, circa 36 milioni di euro alle Sids – nel Pacifico, ai Caraibi ma anche in Africa ed Asia. «Sono territori fragili e preziosi – dice il consigliere Granmenos Mastrojeni, coordinatore del Programma —. Rappresentano meno del 4% delle terre emerse ma custodiscono il 28% della biodiversità del pianeta». L’Italia è tra i fondatori, tra l’altro, della Global Island Partnership, che riunisce decine di Stati insulari e Stati con isole. «È un partner generoso – riconosce Ronald Jean Jumeau, ambasciatore per il cambiamento climatico delle Seychelles —. Il nostro obiettivo è che la temperatura non aumenti più del 1,5%, è una questione di sopravvivenza. E il mondo industrializzato deve aiutarci a costruire la nostra resilienza».