ItaliaOggi, 15 ottobre 2015
Bundesrat alla fiorentina. Nel progettare la riforma del Senato, Renzi dichiarò di ispirarsi alla Camera delle regioni tedesca: peccato che il risultato finale sia ben diverso. Anche perché la Germania è una vera Repubblica federale
Quando cominciò a progettare la riforma del Senato, Matteo Renzi disse che si voleva ispirare al Bundesrat della Germania, la camera delle regioni, che qualcuno si ostina sempre a definire camera alta. Mi parve, ed era, una buona idea. Purché non si copiasse all’italiana, apportando le «necessarie modifiche», cioè snaturando come sempre è avvenuto in altri casi, il modello originario. Non si può cambiare un pezzo senza modificare il motore. Come mettere il differenziale di una Fiat 500 su una Porsche Carrera. O viceversa. Si vuole una repubblica presidenziale, sul modello francese o americano? Perché no, ma negli Stati Uniti o in Francia il presidente è confrontato con un parlamento forte, e spesso avviene che si trovi a dover governare nonostante una maggioranza contraria.
La Germania è una Repubblica federale quindi ha una camera dei länder, le regioni, che sono sedici, meno dunque delle nostre, e coincidono più o meno con i vecchi stati tedeschi prima del Reich (dopo la guerra, i vincitori le unirono o le cancellarono un po’ a capriccio). Il Bund, la federazione, non può imporsi sui diritti dei länder. Renzi e la sua Boschi hanno ridotto per decreto legge (una procedura che non sarebbe consentita in Germania) il numero dei senatori a cento. Il Bundesrat per una popolazione di 82 milioni ne ha ancora meno: 69. Se gli abitanti aumenteranno, potranno aumentare i delegati regionali.
I delegati per land sono in rapporto agli abitanti, ma la proporzione non è rigida: le regioni più piccole hanno tre rappresentanti, le più popolose sei. Se Amburgo con meno di un milione e 700mila abitanti ha tre seggi, la Baviera con quasi 13 milioni, ne dovrebbe avere 18. Il calcolo è puntale: quando l’Assia superò di 669 abitanti la quota di sei milioni, passò subito da 4 a 5 rappresentanti regionali (che nessuno chiama senatori o onorevoli). E nessuno viene nominato dal vertice, dal presidente della Repubblica, o direttamente dai partiti.
La differenza sostanziale tra il senato alla fiorentina e la camera regionale alla prussiana è che ogni land vota in blocco: i singoli rappresentanti non esprimono un loro voto personale. Quindi ogni regione vota secondo la maggioranza che ha localmente, e un sì della Nord Renania Westfalia «pesa» per sei, il doppio di Berlino, città stato. Spesso avviene, anzi quasi sempre, che il governo federale si trovi in minoranza al Bundesrat: oggi la Grosse Koalition, ha una maggioranza schiacciante nel parlamento federale, ma appena 24 voti su 69 alla camera regionale, ha dunque bisogno di undici voti delle regioni neutrali (dove è al governo una coalizione con partiti dell’opposizione), o delle regioni governate dagli avversari.
Se la Cdu/Csu di Frau Merkel comanda a Berlino da dieci anni è scontato che localmente vincano altre forze. Anche i nostri padri costituenti avevano stabilito che la camera venisse rinnovata ogni cinque anni e il senato ogni sei per tener conto del cambiamento del volere degli italiani in tempi diversi. Fu sempre evitato, per non costringere l’Italia a un clima elettorale perenne.
Il Bundesrat ha il diritto di veto su tutte le leggi federali di interesse locale, quindi quasi tutte. E le regioni possono non essere d’accordo sugli impegni europei sottoscritti dal Bund, come è avvenuto in passato con la Baviera, gelosa della sua autonomia. Si potrebbe giungere alla paralisi legislativa, con il Bund bloccato di continuo. È avvenuto, mi sembra, solo nella fase finale dell’era Kohl, per volere del socialdemocratico Gerhard Schröder. Di solito si collabora, e si giunge a una sorta di Grosse Koalition di fatto.
Schröder, diventato cancelliere, ebbe bisogno dell’appoggio dell’opposizione cristianodemocratica per varare le sue riforme sociali. Quando, a sua volta, Frau Merkel batté Gerhard e divenne cancelliera, non poté disfare quanto realizzato dal suo predecessore, anzi riconobbe lealmente che molti suoi risultati erano merito del precedente governo rossoverde. Capisco che in Italia sarebbe un’utopia, con forze che quando prevalgono sostengono che «chi vince decide, punto e basta», e con un’opposizione convinta che il suo dovere sia un boicottaggio continuo.