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 2015  ottobre 15 Giovedì calendario

“Suburra” di Stefano Sollima, ovvero Mafia Capitale prima di Mafia Capitale. Basandosi sul romanzo di Bonini e De Cataldo uscito due anni fa, il regista della serie "Gomorra" ha ritratto il “mondo di mezzo” di Roma, dove «non esistono barriere sociali o culturali né compartimenti stagni a dividere Montecitorio, Palazzo Chigi, il Vaticano e i bassifondi dei clan. La violenza e l’omicidio come armi di lotta politica e di sopravvivenza sono all’ordine del giorno. Non esistono buoni e nemmeno innocenti». Un film senza "messaggio" né morale

Suburra, nell’antica Roma, era il borgo più plebeo e malfamato, crocevia di crimine e potere. Anche Giulio Cesare, nobile ma squattrinato, viveva lì. Oggi Suburra è un film prodotto da Kattleya, diretto col ritmo incalzante della fiction da Stefano Sollima e tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. Che è uscito due anni fa, ma pare scritto domattina. Incredibilmente, né gli autori del libro né gli sceneggiatori del film (la premiata ditta Rulli & Petraglia) avevano sotto mano le intercettazioni di Mafia Capitale. Come quella di Massimo Carminati, anello di congiunzione fra estremismo nero, Banda della Magliana e Mafia Capitale, che spiega ai compari la “teoria del mondo di mezzo”: “Ce stanno… i vivi sopra e li morti sotto e noi stamo ner mezzo… E allora vuol di’ che ce sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici: cazzo, com’è possibile… che ne so, che un domani io posso stare a cena con Berlusconi?… Il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra… le persone di un certo tipo… di qualunque cosa… si incontrano tutti là… Tu stai lì… ma non per una questione di ceto… per una questione di merito, no? Allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno… E tutto si mischia… capito?”.
Perché è proprio questo che accade nelle tante storie intrecciate del mondo di mezzo chiamato Suburra, un’House of Cards con mafia. Non esistono barriere sociali o culturali né compartimenti stagni a dividere Montecitorio, Palazzo Chigi, il Vaticano e i bassifondi dei clan: l’onorevole Malgrati, politico corrotto e pervertito che si divide fra festini sexy e delitti politici facendo soldi a palate con apposita fondazione (Pierfrancesco Favino), non ha problemi a incontrarsi col Samurai, gemello di Carminati, il re di Roma garante di tutte le mafie che risolve problemi con la gelida pazienza di Mr Wolf (Claudio Amendola); e neppure a rivolgersi a un altro “onorevole” amico della mala di Ostia (il giovane capoclan “Numero 8” è Alessandro Borghi) per tappare la bocca a un testimone scomodo.
Così come il Samurai ha libero accesso alle stanze affrescate del Vaticano per minacciare un cardinale dello Ior che non mantiene le promesse. E chi sono a questo punto gli “zingari” della famiglia Anacleti (somigliantissimi ai Casamonica, con lo spaventoso padrino cravattaro-macellaio impersonato da Adamo Dionisi) per restare fuori dal grande affare che domina la trama: una megaspeculazione immobiliare che deve trasformare Ostia in una Las Vegas alla vaccinara, con casinò, alberghi, ristoranti, night, discoteche e droga a volontà?
Il gancio è un altro protagonista del mondo di mezzo che collega il sopra e il sotto: Sebastiano, un sordido “pierre” che organizza feste e procaccia ragazze ai Vip. La violenza e l’omicidio come armi di lotta politica e di sopravvivenza sono all’ordine del giorno. Non esistono buoni e nemmeno innocenti, così come già nella serie Gomorra (sempre firmata da Sollima). In questa Roma notturna e piovosa, oltraggiosamente bella e puttana, che fa da sfondo alla Grande Bruttezza, si salvano in parte i personaggi femminili, anche i più inaspettati: la escort Sabrina che ha visto troppo in un festino col politico a base di sesso ed eroina (Giulia Gorietti); e Viola, la pupa tossica del gangster ostiense (Greta Scarano). Qualche lampo di umanità, almeno loro, lo irradiano. Ma non c’è “messaggio”, non c’è morale in questo romanzo del potere criminale girato – parola di Sollima – come un “western metropolitano” e scandito dal count down dei “sette giorni che mancano all’Apocalisse”: cioè alla caduta del governo B. È il novembre del 2011 e tutto sembra crollare. Papa Ratzinger, nel Vaticano degli scandali, medita le dimissioni (le darà 14 mesi più tardi). E il Caimano sta per arrendersi ai suoi disastri pubblici e privati.
L’unico che non pare turbato dal cambio di regime è il Samurai, che regna e governa sulla Suburra con olimpica e feroce freddezza. La maggioranza frana in Parlamento? Poco male, l’emendamento per Ostia-Las Vegas passa con consensi trasversali, il classico voto di scambio con ricatti e mazzette. E se cade il governo di destra, pazienza: “Troveremo un altro, magari dall’altra parte”. Anche perché il seggio è un bancomat per arraffare soldi e uno scudo per scampare alla galera. La Grande Monnezza non si nasconde, fa tutto alla luce del sole, anche se di luce se ne vede poca, sotto la pioggia del noir. Una pioggia che è l’esatto contrario di quella, purificatrice e liberatoria, dei Promessi sposi: quella di Suburra non lava mai nulla, ma trasporta la schiuma da un capo all’altro della città infetta, dunque eterna.