Corriere della Sera, 15 ottobre 2015
L’ignoranza degli italiani e specialmente quella dei manager: uno su due non legge neanche un libro. Un capo dei capi che non sapeva chi fosse Marinetti. La pochezza culturale di Brugnaro, il sindaco di Venezia
FRANCOFORTE La nostra classe dirigente, s’intitolava così un romanzo di Oreste del Buono ambientato intorno al 25 luglio del 1943, quando l’Italia del regime crollò in un colpo solo. Chissà quanto avrà riso, lassù, OdB guardando i dati di una ricerca sulla «non lettura», commissionati dall’Associazione italiana editori (Aie) e comunicati ieri a Francoforte, numeri che fotografano impietosamente la nostra attuale classe dirigente. Di fronte a una media di 58,6 per cento di italiani che in un anno non leggono nemmeno un libro (in Francia e Spagna sono rispettivamente il 30 e il 37 per cento), il dato che colpisce di più riguarda, infatti, dirigenti, professionisti, manager: i non lettori di questa categoria in Italia sono il 39,1 per cento, molto più del doppio dei loro colleghi francesi e spagnoli (17 per cento). «Questo significa – ha detto Federico Motta, nuovo presidente Aie – incapacità di acquisire nuove conoscenze, approfondire temi su cui si è chiamati a prendere decisioni, e ancora difficoltà a sapersi esprimere, a sostenere un dibattito».
Si parla di amministratori pubblici e manager privati, le cui gesta, del resto, sono ogni giorno sotto gli occhi di tutti. «Un importante banchiere – confidava Motta – l’altro giorno, avendo io citato Marinetti, mi ha chiesto chi fosse». E il sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni, presente a Francoforte in rappresentanza del ministro Franceschini, ha rincarato la dose: «Se un sindaco di una città importante come Venezia decide di vendere un quadro di Klimt definendolo “modernariato”, vuol dire che siamo ridotti male». Lo stesso sindaco aveva sospeso la mostra di Gianni Berengo Gardin, Mostri a Venezia, sulle grandi navi da crociera che passano nel bacino di San Marco; il 22 ottobre la mostra si aprirà in piazza San Marco, nel negozio Olivetti gestito dal Fai, e la signora Borletti Buitoni sarà là. «Usciamo da un lungo periodo di imbarbarimento – ha detto il sottosegretario – anche la nostra scuola ha mancato molte scommesse e ha contribuito a questo degrado. Ora si tratta di fare in modo che l’Italia ritrovi la sua identità culturale, sappia valorizzare i suoi beni artistici e ambientali, recuperi un ritardo di oltre vent’anni. Per questo è importante il dialogo con gli editori, perché è evidente che un Paese che non legge è destinato alla decadenza. Chi non legge non pensa».
A Motta toccava il compito di fornire e commentare i dati sull’andamento del mercato librario. Che, dopo anni di gravi flessioni, ha cominciato a dare segni di miglioramento. «Nei primi otto mesi del 2015 il segno meno si è alleggerito non di poco: oggi siamo a meno 1,9 per cento di fatturato, abbiamo cioè dimezzato il passivo del 2014. Ci impegniamo a chiudere l’anno arrivando a un segno più, ma non è un lavoro da poco». Per far questo occorre un sostegno politico, sia nella promozione della lettura, sia per la difesa del diritto d’autore, fondamentale nella nuova realtà dell’editoria digitale. Il ministro Franceschini, ha concluso Motta, ha dato segno di grande attenzione verso i problemi dell’editoria abbassando l’Iva sugli ebook (oggi è al 4 per cento): e il risultato è stato un forte aumento nella vendita di libri in formato digitale (il 50 per cento in più rispetto al 2013) grazie anche alla diminuzione dei prezzi. Purtroppo permangono grossi problemi sul mercato dell’ebook per il potere sempre maggiore che «alcune piattaforme come Amazon, Google, Apple esercitano sul mercato» e su cui di recente si è pronunciata la Commissione europea.
A chi gli chiedeva quale posizione tiene l’Aie nei confronti delle recenti turbolenze del Salone di Torino, Motta, ridendo, ha detto: «Se mi si permette il termine, è un gran casino. L’Aie comunque è disponibile a dare tutto il supporto a Torino nel momento in cui si metterà in chiaro come dev’essere gestita la Fondazione; quando si farà piena luce sulle tristi vicende del passato; e infine quando ci sarà un chiaro progetto per il futuro. Ma questo è un compito che spetta a Regione e Comune. Forse, azzardo, si può fare il Salone anche con meno soldi, ottimizzare il modello. Forse si dovrà fare anche qualche modifica della formula... Citando una frase di Luigi Spagnol, gli editori possono vivere senza il Salone, ma il Salone, senza editori, può vivere?».