Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2015
La “polmonite” di Wolfsburg: travolta dallo scandalo Volkswagen, la città del Maggiolino ha scoperto d’un colpo di non essere immune dall’«effetto Detroit». Dopo il crollo della fiducia e il taglio degli investimenti, gli abitanti temono ora un effetto domino, «capace di rendere la loro città, solo nel 2013 la più ricca di Germania per reddito pro capite, nuovamente un centro industriale come tanti altri e non più un polo culturale e sportivo di rilievo internazionale»
«Se un giorno a Wolfsburg dovesse chiudere la fabbrica di Volkswagen, in città si alzerebbero anche i marciapiedi». E ancora: «Se Volkswagen dovesse prendere un raffreddore, Wolfsburg si ammalerebbe di polmonite». Fino a un mese fa gli abitanti del centro della Bassa Sassonia che ospita il quartier generale del primo gruppo automobilistico d’Europa citavano questi detti con il sorriso sulle labbra, il sorriso di chi si sente a distanza di sicurezza da qualsiasi tipo di crisi. Da ieri le ansie per il futuro di Volkswagen sono state somatizzate anche da uno dei più importanti indicatori economici della Germania, lo Zew, che misura la fiducia degli analisti finanziari, crollato oltre ogni aspettativa proprio a causa del dieselgate e per la brusca frenata degli emergenti. E siamo solo all’inizio.
La città del Maggiolino si era sempre vantata in questi ultimi anni di essere immune dal “rischio Detroit”, vale a dire dalla prospettiva di una desertificazione industriale che oltre a far salire la disoccupazione a livelli socialmente insostenibili, come è accaduto nella capitale dell’auto Usa, manda in rovina le casse comunali fino al default. In Bassa Sassonia siamo lontani da uno scenario simile, ma Volkswagen stavolta non ha preso un semplice raffreddore e non sono chiare le implicazioni a medio lungo termine di una riduzione e/o congelamento del piano d’investimenti (86 miliardi di euro, di cui una buona metà in Germania). A Wolfsburg resiste uno degli ultimi baluardi dell’aristrocrazia operaia d’Europa. Se in Germania c’è il contratto collettivo dei metalmeccanici del sindacato IG Metall, a Wolfsburg c’è il “contratto Volkswagen”, quasi sempre migliorativo rispetto a quello nazionale e spesso anche rispetto ad Audi, la controllata di alta gamma che negli ultimi decenni ha portato a casa i maggiori utili del gruppo. Laboratorio di relazioni industriali, a metà anni Novanta in questo centro di 120mila abitanti, di cui 72mila dipendenti a vario titolo di Vw, era stata inventata la settimana corta di quattro giorni, con conseguente riduzione dei salari, per evitare il licenziamento di 30mila dipendenti. Con il nuovo millennio si è tornati progressivamente alla settimana canonica, ma i salari sono rimasti strettamente controllati, anzi congelati, per una lunga serie di round negoziali: un patto sociale il cui contrappeso agli stipendi invariati, con aumento della flessibilità degli orari, era stato il mantenimento dei livelli occupazionali.
Lo scandalo Volkswagen, nonostante le rassicurazioni dei vertici, mette a rischio proprio questo patto sociale, che negli anni più recenti aveva visto un ritorno dell’aumento dei salari, con bonus annui fino a 6mila euro proprio quando il resto d’Europa arrancava nella crisi e registrava un aumento senza precedenti della disoccupazione. Ed è proprio ciò che temono gli abitanti di Wolfsburg, un effetto domino capace di rendere la loro città, solo nel 2013 la più ricca di Germania per reddito pro capite, nuovamente un centro industriale come tanti altri e non più un polo culturale e sportivo di rilievo internazionale: un ricchissimo museo d’arte contemporanea; il museo della Scienza e della tecnica progettato da Zaha Hadid; il parco tematico di Autostadt con oltre 2 milioni di visitatori all’anno; l’iconica centrale elettrica con le ciminiere che ospita ogni anno uno dei più importanti festival mondiali di danza contemporanea; la stessa squadra di calcio che milita in Bundesliga. Il passato di Wolfsburg è recente – venne pianificata dal nulla come polo automobilistico dal Terzo Reich alla fine degli anni Trenta perché attraversata dal Mittellandkanal, via d’acqua importantissima per i collegamenti con l’Europa Orientale – e da quel triste passato era riuscita a emanciparsi. Oggi è il futuro a preoccuparla, come non accadeva da decenni, ed essendo un microcosmo della Germania ad essere preoccupati non sono soltanto i suoi abitanti.