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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

Che cosa penserebbe Keynes delle politiche economiche dell’Ue? Se l’è chiesto l’economista danese Jesper Jespersen. «Keynes avrebbe respinto l’idea di un preciso tetto al deficit di bilancio. La raccomandazione di Keynes in situazioni di alta disoccupazione era, nel 1933: “Prendetevi cura della disoccupazione e il Bilancio si prenderà cura di se stesso”»

Jesper Jespersen è un economista danese. Per gentile concessione dell’editore Castelvecchi pubblichiamo stralci della sua lectio all’Università di Roma 3 per la Annual lecture Astril, Associazione studi e ricerche interdisciplinari sul lavoro.

È difficile immaginare cosa John Maynard Keynes avrebbe detto sulle cause e le soluzioni della crisi attuale. Ma queste appaiono oggi in modo chiaro: l’offerta di forza lavoro misurata con la produttività e le ore di lavoro è cresciuta più rapidamente della domanda effettiva di manodopera. Le cifre mostrano un andamento congiunturale della durata di circa 7 anni, ma è la tendenza di fondo che avrebbe interessato Keynes. La crescita della disoccupazione si può spiegare con il trend di caduta degli investimenti (pubblici e privati) che indebolisce la domanda a causa dell’effetto moltiplicatore e riduce l’effetto potenziale di crescita nel lungo periodo. Nel periodo successivo al 2007, la situazione peggiorò in modo drammatico, con la caduta verticale degli investimenti privati e una politica economica restrittiva.
Come Keynes sostiene, in una economia moderna non esiste alcun automatismo che garantisca che il risparmio privato e gli investimenti reali siano della stessa grandezza. Al contrario, gli investimenti privati oscillano in modo forte e contribuiscono alle ricorrenti congiunture. È il settore pubblico che per via delle sue entrate e spese può fare da contrappeso.
Quando ha inizio una bassa congiuntura con crescente disoccupazione aumenta automaticamente il versamento dell’indennità di disoccupazione e le entrate fiscali diminuiscono. L’aumento della spesa pubblica sostiene i redditi del settore privato e quindi riduce l’aumento della disoccupazione. L’effetto del calo degli investimenti è un eccesso di risparmio nel settore privato, che inevitabilmente produce un deficit di risparmio nel settore pubblico. Il deficit del bilancio pubblico diviene di fatto uno stabilizzatore automatico che riduce le conseguenze del crescente squilibrio nel settore privato sull’economia reale (e sul commercio estero).
Poiché la grandezza di questo squilibrio non può essere prevista, Keynes avrebbe respinto l’idea di un preciso tetto al deficit di bilancio. Il tetto del 3 % del Pil che l’Ue ha introdotto si è dimostrato particolarmente nocivo, non solo nell’Europa del Sud, dove le economie già sofferenti sono state colpite da tagli draconiani al bilancio pubblico che hanno prolungato la bassa congiuntura, ma anche nei paesi nordici dove il tetto del 3% ha causato in Danimarca disoccupazione e stagnazioni durante molti anni. La raccomandazione di Keynes in situazioni di alta disoccupazione era, nel 1933: “Prendetevi cura della disoccupazione e il Bilancio si prenderà cura di se stesso”.
I problemi internazionali hanno costituito il tema dominante durante l’intera carriera accademica di Keynes, sin dal suo primo contributo di successo nell’opinione pubblica britannica con la critica dell’accordo di pace dopo la prima guerra mondiale fino ai risultati delle trattative alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944.
Il contributo di Keynes al sistema valutario del dopoguerra era di corsi valutari fissi, ma aggiustabili. I Paesi dovevano cercare di attenersi a un corso valutario fisso; ma nel caso di squilibri fondamentali come quello sulla bilancia dei pagamenti si offriva la possibilità di aggiustare i corsi valutari. Inoltre Keynes propose di introdurre limiti sui movimenti di capitale speculativi.
Con l’accordo di Bretton Woods fu istituito il Fondo Monetario Internazionale per mediare prestiti a paesi membri in difficoltà valutaria, e consigliarli su come, in base a principi keynesiani, raggiungere un equilibrio macroeconomico. Questo sistema ha funzionato durante i primi 25 anni del dopoguerra. Tuttavia si rivelò difficile impedire al capitale speculativo di minare i corsi valutari fissi e i cambiamenti nella crescita economica spinsero gli Stati Uniti a rinunciare ai corsi fissi valutari nel 1973.
L’unione monetaria nell’Ue ha comportato costi pesanti, particolarmente per i Paesi che incontrarono rapidamente problemi sulla bilancia dei pagamenti. Agli inizi le banche private erano disponibili a finanziare questi deficit ma il loro prolungarsi e crescere nel tempo provocò una crisi di fiducia dovuta al fatto che l’Ue mancava di una struttura istituzionale che potesse assicurare che gli interessi sul debito accumulato potesse venire ancora versati (e il debito ammortizzato). Con l’inizio della crisi i singoli Paesi non potevano rinunciare allo standard dell’euro in assenza di una valuta nazionale sulla quale ritirarsi. L’Ue dovette inventarsi istituzioni che potessero fornire il capitale a banche e Stati in difficoltà dei paesi dell’euro. Le condizioni per questi prestiti furono, su richiesta tedesca, rivolte a realizzare l’equilibrio dei bilanci pubblici. Il risultato fu il prolungamento della recessione.
Dal punto di vista di Keynes, la cooperazione valutaria dentro l’eurozona è troppo rigida. Lo sviluppo economico è così diverso che il facile realizzarsi di deficit o surplus nella bilancia dei pagamenti non sono sostenibili nel tempo. Inoltre non esiste una istituzione credibile e neutrale che può aiutare a ricreare condizioni di equilibrio.