il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2015
Sala, Gabrielli, l’ubiquo Cantone: i “commissari” imposti da Renzi un po’ ovunque ricordano tanto i podestà dell’era fascista. «La nomina dei “podestà” renziani ha, naturalmente, piena legittimità democratica, ma segue un percorso che bypassa la tradizionale liturgia partitica, a cominciare dalle primarie. La cacciata di Marino a Roma è solo il primo caso»
Sala a Milano, Gabrielli e non solo a Roma, Cantone candidato dappertutto: per governare città e contrade il renzismo si affida ai “commissari” calati dall’alto, quelli che nell’Italia di una volta si chiamavano podestà. Per carità, nessun confronto tra il regime fascista, che fu purtroppo una cosa seria, e il regimetto fiorentino che vorrebbe cambiare verso al mondo ma s’incasina con gli scontrini del ristorante. Del resto, come ha spiegato Massimo Cacciari: “Il Pd non esiste più e a parte il capo e la sua corte al centro del sistema, e qualche reggente sparsi sui territori, intorno a loro c’è il vuoto”. Ci aveva già pensato la buonanima che non fidandosi della vecchia classe dirigente liberale aveva recuperato dall’Italia medievale una figura che nelle più lontane province rappresentasse autorità, potere e sovranità, insomma, l’occhio vigile del Duce. Il podestà appunto a cui dal 1927 al 1945, in forza di una delle cosiddette leggi fascistissime furono trasferite le funzioni in precedenza svolte dal sindaco, giunta e consiglio comunale, tutti organi soppressi. La nomina dei “podestà” renziani ha, naturalmente, piena legittimità democratica, ma segue un percorso che bypassa la tradizionale liturgia partitica, a cominciare dalle primarie. La cacciata di Marino a Roma è solo il primo caso perché Renzi ne ha piene le scatole anche dei Crocetta in Sicilia, dei De Luca in Campania, degli Emiliano in Puglia, eletti secondo logiche locali e sottratte al suo controllo. Per le prossime Amministrative, il premier vuole tecnici di cui possa fidarsi personalmente: per esempio, candidare come primo cittadino di Milano il commissario Expo, Giuseppe Sala, mentre per il Campidoglio andrebbe benone Raffaele Cantone che tuttavia non lascerà l’incarico all’Anticorruzione senza adeguate garanzie. Renzi, per così dire, non può fare i conti senza l’oste.