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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

Veloce storia di Palazzo Madama e del suo eventuale futuro

C’era una volta il Senato della Repubblica. Bene, non c’è più, o quasi. E però adesso non sarà facile smontare l’illustre baraccone di palazzo Madama con i suoi 140 anni di vita e di ricordi, caso più unico che raro di trasformazione di un’assemblea rappresentativa in una immensa necropoli istituzionale.
La prospettiva appare fosca e suona assai poco confessabile, almeno nei suoi termini mortuari, da parte degli addetti al rullo compressore, rottamatore e riformatore del governo Renzi. Vero è che per tutta la Prima Repubblica proprio da qui partivano i più solenni e maestosi funerali, con carro tirato da sei cavalli neri con pennacchio.
Ma è ancora più vero che l’oscuro destino dell’imminente «Senato delle Autonomie», creatura d’incertissime funzioni e utilità, evoca immagini ancor più al ribasso, per cui la ex Camera Alta potrebbe diventare, all’atto pratico, una specie di miniatura di Montecitorio, un «Camerino», oppure un pensionato di riguardo, o anche un dopo-lavoro, o addirittura un museo. Quest’ultima possibile destinazione d’uso è sfuggita di bocca al premier Renzi alcune settimane orsono, nel vivo della battaglia, salvo rapida smentita. L’anno prima, in realtà, nel presentare il suo governo nell’aula-bomboniera di Palazzo Madama, il presidente aveva indorato la pillola di cianuro con una formula fin troppo cerimoniosa: «Ci avviciniamo a voi in punta di piedi, con lo stupore di chi si rende conto della magnificenza e della grandezza non solo di un luogo fisico, ma anche del valore che questo rappresenta nel cuore di una lunga storia». Ma già allora era in vigore la favola dei senatori-tacchini condannati a finire arrosto per il pranzo di Natale – tanto da spingere l’iper-renziano Esposito a donare al premier una spilletta in cui si auto-qualificava «tacchino felice».
Per come si sono messe le cose, l’ipotesi museale si adatterebbe bene al Palazzo, che fu edificato dalla dinastia de’ Medici intorno al 1500, ospitò la piccola Caterina, futura regina e sublime avvelenatrice di Francia, prese il nome dalla figlia di Carlo V, Margherita d’Austria, detta «Madama», passò ai Lorena che lo vendettero ai pontefici, i quali a loro volta ne fecero la sede della Camera apostolica, del dicastero delle Finanze, poi delle Poste e anche del Lotto.
Oggi, in fondo, già assomiglia parecchio a un museo, di quelli insieme dignitosi e polverosi che fioriscono a Roma: soffitti a cassettone, fregi, stemmi, stucchi, putti e frutti in legno dorato, arazzi e affreschi di storia romana, sedie fiorentine, cimeli (calamaio di Cavour, giuramento di Vittorio Emanuele III, bollettino della vittoria di Diaz, prima copia della Costituzione) e sospette ceneri di Dante.
I senatori stanno lì dal 1871, reduci dagli Uffizi, a Firenze. I presidenti finiscono in una galleria di ritratti e non di foto. Inutile dire che in questo ambiente d’intonazione clerico-nobiliare, trionfo del barocchetto romano, è passato di tutto, dalle più violente risse sulla legge-truffa alla morte sul campo di Ezio Vanoni, dal concerto di Natale alla guerriglia di Calderoli contro una scultura fallica nel Salone Garibaldi, dai magheggi di Previti alle visite di Totti, Miss Italia e della veggente di Medjugorje, passando per le cene di gastronomia regionale e per i corsi per sommelier.
Il ristorante, negli ultimi giorni di Pompei ridotto a prezioso self-service, è stato a lungo un mito e come tale vissuto e additato al pubblico ludibrio come un luogo simbolico della Casta. Ma i veri e più dispendiosi impicci che quest’ultima ha combinato, nemmeno troppi anni fa, riguardano il processo di espansione e quello di militarizzazione; per cui il Senato, che dispone anche di Palazzo Giustiniani, di Palazzo Carpegna e di un pezzetto di Palazzo Cenci ha ritenuto di ridislocarsi in varie e retrattili forme nell’ex hotel Bologna, in un palazzetto di largo Toniolo e nell’ex orfanotrofio di Santa Maria in Aquiro, dove pure non ha mai messo piede perché i lavori non sono mai iniziati.
Nel contempo, con il pretesto di Al Qaeda, Palazzo Madama si è drasticamente fortificato e separato in tutti i lati dalla città tramite graziosi semaforini, prepotenti sbarre, creativi posti di guardia e un’infinità di colonnette a scomparsa (con targa d’ottone indicanti una sinuosa “S”). Per milioni e milioni di euro.
I dipendenti sono 696, i metri quadri occupati 22 mila: comunque troppi per un centinaia di consiglieri regionali, trionfalmente eletti nel «listino», che verranno a Roma una o due volte al mese. Cosa sarà concretamente di Palazzo Madama è ancora abbastanza un mistero. Una giovane studentessa della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss-Guido Carli, Camilla Romana Bruno, ha cercato di capirlo, ma che fatica! Ha scritto al presidente, ai vice, ai questori, le ha risposto, incontrandola, solo quello del M5S.
Nel dubbio diffuso sembra che il futuro assetto, come del resto il funzionamento della macchina, dipenda più che altro dal prossimo regolamento. La speranza è che lo scriva qualcuno che sia oggi di casa. Altrimenti saranno il caos e lo spreco, in una confusa necropoli e pure costosa.