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 2015  ottobre 14 Mercoledì calendario

Ancora sul problema delle basi americane in Italia

Nella sua rubrica lei ha citato un intervento del generale Tricarico pubblicato su Formiche.net per sostenere che «le basi americane in Italia rappresentano un duplice problema» e che «è giunta l’ora di rivedere gli accordi sulle basi» in quanto superate le ragioni della loro strategicità per il nostro Paese. La posizione della nostra testata è diversa. Le ambizioni geopolitiche dell’Italia e le responsabilità che ne derivano non possono prescindere da alcuni punti fermi. A maggior ragione dopo i poderosi tagli al budget nazionale della difesa, è evidente che le basi degli Alleati rappresentano un asso rilevantissimo nella manica del governo. La rivendicazione di un ruolo in Libia e nel Mediterraneo sarebbe molto più debole se il nostro Paese non ospitasse una infrastruttura così vitale per gli interessi transatlantici. Il tema quindi, per Formiche, non è quello di mettere in discussione il patrimonio di asset militari presenti nel Paese, ma anzi valorizzarlo e semmai evitare di dover essere imbarazzati per una vicenda come quella del Muos di Niscemi (una base che ospita un impianto cruciale per la sicurezza delle comunicazioni satellitari miliari) che a tutt’oggi è bloccato per intoppi politici e burocratici incomprensibili e inspiegabili.
Paolo Messa
fondatore di «Formiche»
paolo. messa@gmail.com
Caro Messa,
Negli anni Ottanta, quando il presidente del Consiglio era Bettino Craxi e il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, la maggiore preoccupazione del governo italiano era di evitare che le basi americane in Italia venissero usate per colpire la Libia: un Paese con cui l’Italia cercava faticosamente di dialogare. Negli anni Novanta la base di Aviano fu usata anche da aerei italiani per colpire la Serbia: una operazione di cui non è facile andare orgogliosi. Dopo l’inizio del nuovo Millennio sembra più difficile immaginare che gli Stati Uniti abbiano bisogno di un pezzo di territorio italiano per colpire i loro nemici medio-orientali. La flotta è una base galleggiante che sembra rispondere pienamente alle strategie del Pentagono.
Ma le basi non hanno perso la loro utilità e sono sempre, insieme a quelle di cui l’America dispone altrove, l’indispensabile retroterra logistico di tutte le sue operazioni militari. La gestione di queste operazioni è interamente americana. La Nato, quando è chiamata in causa, serve tuttalpiù a rendere apparentemente «internazionale» ciò che è, in effetti, strettamente americano. Le ricadute, invece, sono per tutti. La guerra afghana non è riuscita a stabilizzare un Paese profondamente diviso. La guerra irachena ha riattizzato il vecchio conflitto religioso tra sunniti e sciiti, ha risvegliato il nazionalismo curdo, è il bacino di cultura in cui sono cresciuti tutti i peggiori movimenti islamisti, ha dato un contributo determinante alla destabilizzazione dell’intera regione. Mentre nella guerra civile siriana, la Casa Bianca e il Dipartimento della Difesa fanno guerre per procura servendosi soprattutto della Cia.
Fra i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia, caro Messa, è il Paese maggiormente esposto alle tempeste nord-africane e medio-orientali. Sono queste le ragioni per cui il problema delle basi e delle loro funzioni dovrebbe essere quanto meno rivisto.