La Stampa, 14 ottobre 2015
Playboy, per rilanciarsi, rinuncia alle donne nude
È come se, da un giorno all’altro, i ristoranti italiani smettessero di servire la pasta. E riuscissero a sopravvivere anche meglio di prima, perché nei loro menù c’erano un sacco di piatti più originali e straordinari, ma dimenticati. Grosso modo è la strategia scelta da Playboy, che per superare la crisi provocata dall’avvento della pornografia su Internet, ha scelto di togliere le donne nude dalle sue pagine.
La sfida dei Millennials
La svolta è stata decisa da Cory Jones, responsabile dei contenuti della rivista, con il pieno consenso di Hugh Hefner, il fondatore che a 89 anni ancora appare come il direttore. Partirà dal marzo dell’anno prossimo e cambierà il giornale che aveva introdotto la rivoluzione sessuale, o lo sfruttamento dell’immagine femminile, a seconda dei punti di vista. Le donne compariranno ancora in immagini sexy, ma non più senza vestiti. «Il dodicenne in me è molto deluso - ha detto il direttore al New York Times - ma è la cosa giusta. Non ha più senso oggi che siamo a un clic da qualsiasi atto sessuale immaginabile gratis: il nudo è passé». Si punterà poi sui contenuti, da quelli di alto livello culturale, a quelli che strizzano l’occhio agli inserzionisti, tipo i produttori di liquori. L’obiettivo è rilanciare l’edizione in carta, che è scesa dal picco di 7 milioni di copie vendute nel novembre del 1972, alle 800.000 di oggi, che negli Stati Uniti fanno perdere circa 3 milioni di dollari all’anno. Per riuscirci si punta sul pubblico giovane, quello dei «millennials», replicando un’operazione che ha già funzionato per il sito.
A differenza di Penthouse, infatti, l’edizione digitale di Playboy aveva deciso già nell’agosto 2014 che non poteva e non voleva fare concorrenza alla marea di pornografia disponibile gratis su Internet, rinunciando quindi alle donne nude. Risultato: l’età media dei lettori è scesa da 47 a 30 anni, e gli utenti sono saliti da 4 a 16 milioni al mese. La verità, poi, è che oltre metà degli incassi dell’azienda viene ormai dalla vendita dei prodotti con il logo della coniglietta, di cui 500 milioni di dollari solo per le licenze in Cina nel 2014, e i manager non vogliono correre il rischio di compromettere questo business lucroso urtando la sensibilità di paesi dove la pornografia è bandita.
La storia
La svolta, però, è storica fino ad un certo punto. E’ vero infatti che Playboy era arrivato in edicola nel 1953 con il primo nudo di Marilyn Monroe, comprato dalla John Baumgarth Calendar Company, perché lei in realtà non aveva posato per la rivista. E’ vero che aveva fatto arrossire e sognare diverse generazioni di uomini, provocando invece la rabbia delle femministe, incarnata nell’articolo al vetriolo che Gloria Steinem scrisse nel 1963 per la rivista Show, dopo aver lavorato per 17 giorni come coniglietta nel Playboy Club di New York. E’ vero che Hefner tra i club, le feste della perdizione nella sua villa, l’aereo con letto matrimoniale, le nozze con le ragazzine bionde delle sue copertine, promuoveva uno stile di vita giudicato da molti immorale, ed è vero anche che il buon gusto della rivista, ammesso che fosse mai esistito, era scivolato quando negli Anni Novanta l’azienda era stata tentata dal porno di Spice e Playboy tv. Però leggete un attimo la lista degli autori pubblicati nel numero speciale del Natale 1968: quattro racconti di Alberto Moravia; un simposio sulla creatività con Truman Capote, Allen Ginsberg, Arthur ed Henry Miller, Georges Simenon, Isaac Singer, John Updike; un pezzo di Arthur C. Clarke su come le macchine avrebbero cambiato le nostre vite, e uno di Marshall McLuhan sull’immagine; la prima traduzione inglese di una poesia di Goethe.
Le interviste
Nel 1956, parlando con Playboy, Ernest Hemingway aveva detto che «immorale è ciò che dopo ti fa star male», ed evidentemente un’intervista con il giornale delle conigliette non rientrava in questa categoria. Stesso discorso per Martin Luther King, Miles Davis, Valdimir Nabokov, Norman Mailer, John Lennon e Yoko Ono, Malcolm X e il pio Jimmy Carter, che proprio da quelle pagine patinate aveva ammesso di «aver guardato a molte donne con lussuria», immaginando di tradire la moglie. Poi naturalmente erano arrivate anche Madonna, Bo Derek, Sharon Stone, Pamela Anderson ben 13 volte, Jenny McCarthy, la tragica Anna Nicole Smith, Naomi Campbell e persino Kate Moss, meno cerebrali e meno vestite. Ora si torna alla tradizione del giornale proposto per i suoi contenuti. Si torna indietro perché ormai il mondo è andato troppo avanti.