Corriere della Sera, 14 ottobre 2015
Ieri altri tre israeliani uccisi, dodici in sette giorni. Allarme di Netanyahu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME. Nella «giornata della rabbia» proclamata da Hamas e dalla Jihad Islamica i primi attentati, quelli più gravi, sono quasi simultanei. A Gerusalemme due palestinesi assaltano un autobus di linea, sono armati di pistola e coltelli, sparano ai passeggeri, ne uccidono due, i feriti sono almeno venti. A Raanana, sobborgo elegante a nord di Tel Aviv, due attacchi con il coltello nel giro di poche ore. Di nuovo a Gerusalemme un arabo investe i passanti, ammazza un ebreo israeliano, scende dall’auto e insegue chiunque possa colpire con una mannaia.
In dodici giorni sono stati uccisi sette israeliani. Il premier Benjamin Netanyahu ha convocato d’urgenza il consiglio di sicurezza e ha discusso con il capo di Stato maggiore le nuove misure. Prima della riunione annuncia in tv «non esiterò a usare tutti i mezzi più aggressivi nel nostro arsenale per riportare la calma» e avverte Abu Mazen, il presidente palestinese: «Basta mentire e istigare, un leader deve agire con responsabilità. Non trasformate gli assassini in eroi». Gli attacchi contro i civili sono stati condannati dagli Usa, che invocano la fine delle violenze.
Il governo israeliano valuta se dispiegare l’esercito per le strade di Gerusalemme, circondare i quartieri arabi, togliere la residenza alle famiglie degli attentatori. Anche Isaac Herzog, leader laburista all’opposizione, appoggia l’idea di una «chiusura» dei Territori e di Gerusalemme Est: è da quelle zone – spiega lo Shin Bet, il servizio segreto interno – che è arrivato l’80% degli assalitori.
Gli scontri sono andati avanti anche Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, dove ancora una volta gli abitanti hanno marciato verso la barriera che li separa da Israele cercando di sfondare il reticolato. A Betlemme un giovane è stato ucciso dall’esercito. I palestinesi morti sono oltre 20 dal primo ottobre, tra loro anche gli attentatori colpiti dalla polizia dopo l’attacco. Saeb Erekat, consigliere di Abu Mazen e segretario generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, dice di considerare «Israele responsabile delle violenze» e annuncia di voler chiedere all’Onu «un’inchiesta sulle esecuzioni sommarie ed extragiudiziarie della polizia»: «Alcuni adolescenti sono morti solo perché la gente attorno urlava di sparare perché avevano tirato fuori il coltello».
Sui siti Internet arabi sono circolati le foto e il video del ragazzino palestinese investito lunedì da un’auto a Pisgat Zeev, insediamento nella parte est di Gerusalemme: le immagini lo mostrano a terra sanguinante, circondato da israeliani che lo insultano. Quello che non fanno vedere e non raccontano sono i momenti precedenti, quando assieme al cugino ha pugnalato un israeliano di 13 anni, la sua stessa età.