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 2015  ottobre 13 Martedì calendario

Quant’è difficile essere giornalisti indipendenti in Turchia. In 10 anni sotto Erdogan sono stati licenziati e arrestati almeno 60 cronisti. «La Turchia oggi è il paese con più giornalisti detenuti in rapporto alla popolazione. Da quando nelle elezioni del giugno scorso l’Akp ha perso la maggioranza assoluta, alle minacce verbali si sono aggiunte quelle fisiche». Nel mirino soprattutto la redazione della testata liberale laica "Hurryet", che un giornalista al soldo della famiglia di Erdogan ha minacciato così: «Possiamo schiacciarvi come un moscerino se vogliamo. Abbiamo avuto pietà fino a oggi, ecco perché siete ancora vivi»

Dopo la strage terroristica di sabato ad Ankara, i pochi intellettuali ancora residenti in Turchia, in primis il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, hanno sottolineato la deriva autoritaria del presidente Erdogan; una delle prove più evidenti è il costante attacco da parte dello stesso capo dello Stato e dei deputati del suo partito islamico conservatore della giustizia e sviluppo (Akp), al governo da 12 anni, nei confronti della esigua stampa indipendente. Nel decennio Erdogan sono stati licenziati e arrestati almeno una sessantina di giornalisti. La Turchia oggi è il paese con più giornalisti detenuti in rapporto alla popolazione. Da quando nelle elezioni del giugno scorso l’Akp ha perso la maggioranza assoluta, alle minacce verbali si sono aggiunte quelle fisiche. Nella notte del 1° ottobre, Ahmet Hakan, uno dei più noti editorialisti del quotidiano liberale laico Hurryet, nonché il più diffuso del paese, è stato assalito da 4 sostenitori dell’Akp mentre rientrava a casa. Mentre uno immobilizzava la sua guardia del corpo gli altri tre gli rompevano naso e costole tanto da farlo finire in ospedale. Il mese scorso la reception della sede di Hurryet era stata devastata da un nutrito gruppo di sostenitori e membri del partito islamico conservatore, tra i quali il deputato Abrurrahim Boynukalin che si scagliò proprio contro Hakan.
In quei giorni aveva fatto molto discutere anche l’articolo di Cem Kucuk, giornalista di Star, quotidiano filo-Akp di proprietà del genero di Erdogan, in cui si leggeva: “Possiamo schiacciarvi come un moscerino se vogliamo. Abbiamo avuto pietà fino a oggi, ecco perché siete ancora vivi”. Il giornalista si rivolgeva proprio allo staff di Hurryet. Prendendo spunto da ciò che gli è accaduto, a proposito della carneficina di sabato, Hakan ha scritto un coraggioso editoriale intitolato “Il governo non l’ha realizzata, ma…” Il giornalista, che ci ha ribadito ciò che ha scritto, dice con ironia amara: “È assurdo pensare che il governo si sia rivolto ai kamikaze intimando loro di andare a farsi esplodere alla stazione di Ankara, ma ci sono dei ‘ma’ che non possono essere messi da parte”. Hakan si riferisce alla politica estera portata avanti dal governo che “ci ha inimicato tutti i paesi confinanti e ha portato la Turchia sull’orlo della guerra con almeno otto nazioni mediorientali. Inoltre la Turchia è diventata il campo di addestramento delle organizzazioni terroristiche islamiche”.
L’editoriale continua accusando il governo di aver polarizzato il paese e di averlo trasformato in un luogo dove ci si odia vicendevolmente. “Il governo non l’ha realizzata ma – prosegue – non ha predisposto le misure di sicurezza minime affinché questa ennesima strage fosse evitata. Mi domando anche perché la magistratura non abbia aperto un’inchiesta nei confronti di chi ha scritto che mi potrebbero schiacciare come una mosca e che se sono vivo è solo grazie alla loro sensibilità. E perché nessun pubblico ministero gli abbia chiesto chi sono questi ‘noi’ ai quali l’autore del pezzo minatorio si riferiva? Qui non c’è più giustizia degna di questo nome”.