Corriere della Sera, 13 ottobre 2015
A proposito dell’ignoranza abissale dei librai, primo ostacolo alla vendita dei libri
Qualche giorno fa in una libreria di catena milanese, un mio amico ha chiesto il nuovo saggio di Carlo Ginzburg, uno dei maggiori storici italiani. Titolo: Paura reverenza terrore, editore Adelphi. Autorevolissimo storico, grande editore, libro importante (e recentissimo) che non compare nelle classifiche, ma che durerà a lungo nella cultura. Ebbene, con espressione sperduta la commessa chiede lo spelling dell’autore, battendo tempestivamente sul computer il nome: «Karl». «No, – ripete il mio amico – Carlo Ginzburg, è italiano!». Risolto l’equivoco, si scopre che in negozio esistono (dovrebbero esistere) due copie del volume richiesto: la ragazza sparisce, ricompare a mani vuote dopo una decina di minuti, consulta un collega, che sparisce a sua volta. Passano ancora diversi minuti e l’uomo, riemerso visibilmente da un sottoscala in cui giacciono gli scatoloni mai aperti, mostra trionfante il libro. Altri aneddoti si potrebbero aggiungere alla casistica dell’irreperibilità di importanti titoli recenti e del malfunzionamento delle grandi librerie, che sommerse da centinaia di bestseller annunciati hanno perduto il senso delle gerarchie e soprattutto hanno sostituito i librai con venditori pressoché privi di competenza e di formazione culturale (per rimediare, c’è sempre un computer…). Non è snobismo intellettuale considerare deficitario un libraio che non abbia mai sentito il nome di Carlo Ginzburg. Trattasi semplicemente di mancanza di professionalità, per usare una parola abusata. Professionalità che invece, la scorsa settimana, ho apprezzato in un centro commerciale dove mi trovavo per comperare una lavatrice. Alla richiesta di delucidazioni su modelli, consumi, carichi, eccetera, le risposte della commessa sono arrivate chiare e precise, con cifre e descrizioni tecniche. Da tutto ciò nascono alcune domande: perché mai la competenza è ritenuta d’obbligo per vendere un elettrodomestico e non per vendere un libro? Due: c’è un nesso tra la fuga dei clienti dalle librerie (verso gli acquisti online) e la progressiva trasformazione dei negozi di libri non in negozi qualunque (magari!) ma in surreali supermercati in cui nessuno sa dirti se c’è – ed eventualmente dove si trova – il Dolcetto? Anzi, nessuno sa che cosa sia il Dolcetto, visto che tanto quasi tutti comperano il vino in cartone accatastato all’entrata. Terzo: perché ci si lamenta del fatto che i libri non vendono se non si fa niente per venderli?