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 2015  ottobre 12 Lunedì calendario

Nelle carceri italiani ci sono 52.294 detenuti, ossia il 23% in meno rispetto al 2010. Negli ultimi cinque anni lo svuota-carceri e l’allargamento delle misure alternative alla detenzione sono riusciti quindi a ridimensionare il problema del sovraffollamento

Sono 17.586 i detenuti usciti dal carcere, beneficiando della possibilità introdotta dalla legge 199 a fine 2010 di scontare l’ultima parte dalla pena presso la propria abitazione. Al 31 dicembre 2010 nelle carceri italiane erano presenti quasi 68mila detenuti di fronte a una capienza regolamentare di 45.022 posti, un triste record che ci valse la condanna della Corte europea del gennaio 2013. L’ultimo censimento effettuato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) al 30 settembre 2015 ne rileva invece 52.294, ossia il 23% in meno.
In cinque anni, i provvedimenti svuota-carceri e l’allargamento delle misure alternative alla detenzione sono riusciti quindi a ridimensionare il problema del sovraffollamento.
Ma ci sono comunque ancora 2.709 detenuti in “più” rispetto alla capienza regolamentare (che, sottolinea il Dap, prevede spazi più ampi rispetto alla media europea), un numero che sale a quasi 7mila se si considerano i posti non disponibili a causa delle ristrutturazioni in corso. E, soprattutto, la situazione non è omogenea sul territorio nazionale.
La Lombardia è la regione dove la distanza con la capienza regolamentare è più alta: ci sono infatti 1.450 detenuti “di troppo”. Situazione critica anche in Puglia (833 reclusi in più), Campania (823), Veneto (548) e Lazio (451).
«Gli istituti più in difficoltà – afferma Andrea Scandurra, coordinatore delle attività di ricerca di Antigone, storica associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale – sono le case circondariali delle grandi città, dove gli arresti sono moltissimi e si devono affrontare emergenze continue».
All’opposto, ci sono le regioni con più posti liberi (in Sardegna se ne contano ben 760), dove spesso vengono spostati detenuti dai luoghi di pena più affollati.
È diminuito anche il ricorso alla custodia cautelare in carcere. Le restrizioni all’utilizzo di questo strumento previste dal Dl 92 del giugno 2014 e poi dalla legge di riforma dello scorso aprile (la 47/2015) hanno portato il numero di detenuti in attesa di primo giudizio da 9.999 (30 giugno 2014) a 8.942 (30 settembre 2015), con un calo di circa il 10 per cento. Se si considerano anche i condannati in attesa dei successivi gradi di giudizio si passa dai 19.984 del 30 giugno 2014 ai 18.015 del 30 settembre scorso (nella tabella sotto sono riportati solo i dati relativi ai detenuti in attesa di primo giudizio).
La presenza femminile, tradizionalmente bassa, rimane estremamente contenuta, mentre gli stranieri rappresentano ormai un terzo (il 32,9%) del totale. Un valore che, nelle regioni del Nord, sale oltre il 40%: in Emilia-Romagna è al 46%, al 45% in Lombardia e Toscana.
Percentuali elevate, nonostante la diminuzione dovuta alla disapplicazione del reato di inottemperanza all’obbligo di espulsione del questore imposta dalla Corte di giustizia dell’Aja: al 31 dicembre 2010 la media nazionale era infatti del 36,7 per cento.
La presenza di stranieri è, inoltre, più alta fra i reclusi in attesa di primo giudizio: 3.787 su 8.942 (oltre il 42%). Le ragioni vanno dal pericolo di fuga all’assenza di un “domicilio” dove attendere il processo. Che sono poi le stesse motivazioni che spiegano lo scarso utilizzo delle misure alternative alla detenzione. «Nella maggior parte dei casi – spiega Scandurra – non hanno un contesto sociale, una famiglia, cui fare riferimento. Gli stranieri tendono inoltre a commettere reati meno gravi: ce ne sono quindi di più fra chi ha condanne brevi, mentre le misure alternative spesso riguardano chi deve scontare lunghi periodi di detenzione».
Al 30 settembre scorso erano in 31.766 a beneficiare delle misure diverse dal carcere: l’affidamento in prova ai servizi sociali è l’istituto più utilizzato (11.802), seguito dalla detenzione domiciliare (9.605). Numeri ancora troppo bassi secondo Antigone, mentre l’amministrazione penitenziaria sottolinea la carenza di braccialetti elettronici grazie ai quali potrebbero uscire altri 2mila detenuti.
Ma come trascorre il tempo in carcere? Nel 2014 il ministero della Giustizia, per migliorare la vita di chi ha perso la libertà, ha stabilito che almeno otto ore vadano trascorse fuori dalla cella. Il Dap segnala che nel 2015 sono stati presentati 720 progetti di miglioramento delle strutture che prevedono l’impiego di detenuti.
Stando all’ultimo rapporto di Antigone, alla fine del 2014 in carcere lavorava solo il 27,1% dei reclusi. «Si tratta però di una media nazionale – ricorda Scandurra – e soprattutto, per la maggior parte, non sono veri lavori, bensì piccoli servizi non formativi distribuiti a rotazione che occupano poche ore a settimana. È più un’ottica di welfare che di reinserimento. Istituti dove vengono realizzate vere lavorazioni ci sono, ma sono la minoranza».
A breve Mauro Palma dovrebbe essere nominato Garante nazionale dei detenuti, mentre a metà novembre chiuderanno gli stati generali dell’esecuzione penale, voluti dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando. L’obiettivo, una volta superata la fase di emergenza, è la definizione di una migliore fisionomia del carcere e un nuovo modello di esecuzione penale. «Bisogna rivedere l’idea stessa della pena – conclude Scandurra – in modo da ridurre le recidive e facilitare il reinserimento: oggi il detenuto è privato di ogni autonomia. Questa infantilizzazione determina atteggiamenti vittimistici in cui è sempre colpa di qualcun altro e non prepara in alcun modo a farsi carico di se stessi, elemento fondamentale per il reinserimento sociale».