Corriere della Sera, 12 ottobre 2015
L’effetto “museo delle cere” di Tale e Quale
Sono tornati i replicanti di «Tale e quale show», il programma di imitazioni condotto da Carlo Conti, ormai da alcuni anni colonna portante del venerdì sera di Rai1 (ore 21.20).
La nuova stagione, iniziata qualche settimana fa, ha mantenuto invariate le regole del gioco: «celebrità» di varia provenienza si sfidano, spesso en travesti, imitando cantanti del presente e del passato, cercando di ottenere un risultato più fedele possibile all’originale. Grande sforzo con trucco e parrucco per avvicinare il più possibile le fisionomie a quelle reali, vocal coach che addestrano i concorrenti a imitare le vocalità dei loro modelli.
C’è stato solo un cambio in giuria, via Christian De Sica, dentro Gigi Proietti, via un attore che è anche un celebre volto televisivo, dentro un altro personaggio dalle caratteristiche simili, per non turbare il pubblico di Rai1, per non rischiare di incrinare una formula di successo (ma De Sica funzionava meglio).
È ormai chiaro che in «Tale e quale» convivono due anime. Da un lato, quella rassicurante, fondata sulla logica della copia, sul continuo ritorno dell’identico, sull’effetto da museo delle cere, sul mettere da parte la novità in favore del rincuorante tepore della nostalgia per un passato lontano o anche molto prossimo ma comunque «già noto» (vedi Massimo Lopez che imita Marco Mengoni). Insomma, tutto quello che ci si aspetterebbe da uno show per un canale generalista.
Ma in «Tale e quale» c’è anche un’altra anima, meno scontata, più sottile e kitsch, legata al gioco degli opposti, all’eccesso di tradizioni spettacolari lontane da quelle della tv tradizionale. Per esempio, Max Giusti imita Boy George e l’effetto è subito straniante, genera un curioso ibrido tra popolare e nicchia. Ci si aspetterebbe (magari!) un finale horror, con le copie che sostituiscono silenziosamente gli originali, almeno nell’immaginario del piccolo schermo, come nell’ Invasione degli ultracorpi.