Corriere della Sera, 12 ottobre 2015
Ciclismo. Intervista al campione del mondo Peter Sagan
DAL NOSTRO INVIATO ABU DHABI Cominciamo l’intervista con lui ben contento di demitizzare la leggenda che lo vuole più o meno quindicenne in sella a una specie di Graziella malconcia della sorella Daniela e vincere la coppa juniores nel trofeo slovacco di cross country a pedali. «Non è affatto andata così. È vero che io avevo venduto la mia bici, la nuova ritardava, allora la chiesi a mia sorella. Lei mi passò la sua mountain bike di serie. Non era il massimo, aveva un cambio vetusto, eppure funzionava ottimamente», dice Peter Sagan nella lobby dell’hotel che ospita le squadre dell’Abu Dhabi tour. Tra poche ore arriverà secondo nell’ultima delle quattro tappe della corsa. Ma al 25enne campione del mondo da tre settimane vogliamo chiedere soprattutto sulla sua storia, le origini, le sue aspirazioni. «Da ragazzino non ero affatto certo che avrei corso sulle bici. Volevo fare l’attore, seguii anche alcuni corsi di recitazione teatrale. Poi mi innamorai della mountain bike, per passare alle competizioni di downhill, mi affascinavano. Fu mio fratello maggiore Jurai, che oggi corre con me nella Tinkoff-Saxo, a convincermi che sarei stato un bravo atleta nelle gare su strada», ricorda.
I primi allenamenti sono nelle campagne attorno alla sua città natale, Zilina, nella Slovacchia settentrionale. «Per fare fiato correvo a piedi sulle montagne di casa, gli Alti Tatra, che larga parte dell’anno sono molto freddi. È per questo che il mio organismo reagisce meglio alle basse temperature. Anche se il freddo può tradire. È sufficiente sbagliare il momento in cui si toglie la maglia calda prima dello scatto e si rimane congelati». Una sorta di spiegazione per non essere riuscito a imporsi ad Abu Dhabi? «Questa corsa non fa per me. Il posto è interessante, ci verrei anche per turismo: begli hotel, mare, cibo ottimo. Mi piace correre qui. Ma questa volta ha fatto davvero troppo caldo. In più io sono un velocista. Mi piacciono gli strappi ripidi, ma non troppo lunghi, come quelli al campionato del mondo negli Stati Uniti, dove ho potuto utilizzare appieno la mia potenza senza esaurirmi. Invece qui i quasi mille metri di dislivello finali della terza tappa, che è stata decisiva, erano funzionali al fisico di uno come Chaves, che pesa meno di 66 chili, non per i miei 77».
Futuro da campione, difficoltà nel difendere il titolo: cosa teme Sagan? «Nel ciclismo, come nella vita, ci vuole fortuna. E io ne ho avuta tanta. Ma ho imparato anche che le cose possono cambiare e noi ciclisti abbiamo poco tempo davanti a noi. Corri per dieci o quindici anni al massimo. Tu puoi essere nella forma top, esserti allenato al meglio. Ma se poi nello scatto finale quello davanti a te cade, tu sei fregato. Trovo che si potrebbe scrivere un libro per ogni gara, basterebbe mettere assieme i diari personali di ogni corridore per scoprire un’epica, un grande racconto corale fatto di paure, vittorie, sconfitte e rinascite».