Corriere della Sera, 12 ottobre 2015
Ricordo della crisi di Sigonella nel diario di Andreotti, prepotenze degli americani e Craxi che parla alla Camera come fosse Mazzini
In occasione del 30° anniversario del sequestro della «Achille Lauro» e della crisi di Sigonella, vorrei che ricordasse quell’episodio in cui per una volta (forse anche l’unica) il governo italiano non ha obbedito agli ordini degli Stati Uniti.
Daria Cortesi
Verona
Cara Signora,
F r a le molte testimonianze sulla vicenda di Sigonella esiste quella di Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri. Fu scritta per una raccolta di interventi sui rapporti italo-americani nel Mediterraneo che venne pubblicata da Corbaccio nel 1998 a cura di Alessandro Silj. È una sorta di diario che comincia nella notte in cui gli americani intercettarono un volo delle linee aeree egiziane, su cui viaggiavano i palestinesi di Abu Abbas, e lo costrinsero ad atterrare nella base militare di Sigonella. I ricordi di Andreotti descrivono una quadro di totale incomprensione. Washington considerava Abbas responsabile del dirottamento dell’Achille Lauro e, in particolare, della morte di un cittadino americano (Leon Klinghoffer). Andreotti sosteneva che Abbas era stato inviato in Egitto da Yasser Arafat come negoziatore e non poteva essere trattato come leader di un commando terroristico. L’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma si dichiarava sorpreso che il governo italiano osasse opporsi alla personale richiesta del presidente Reagan.
Il battibecco durò per qualche giorno con uno scambio di pareri giuridici e reciproche accuse. Gli americani, secondo Andreotti, avevano fatto un uso improprio della base: non avevano il diritto di usarla per una operazione di polizia internazionale con corpi speciali (la Delta Force) di cui nessuna istituzione italiana aveva autorizzato l’intervento. Furono gli argomenti giuridici, probabilmente, che fecero breccia nelle posizioni dei falchi di Washington. Si cominciò a intravedere un accordo quando diplomatici americani e italiani prepararono un documento congiunto con cui l’Italia si impegnava a processare Abu Abbas se fossero emerse prove sul suo coinvolgimento nell’attentato. Ma i falchi non volevano arrendersi e il documento congiunto, quando raggiunse la Casa Bianca, non fu approvato. Andreotti ricorse allora a un vecchio amico, Vernon Walters, che era in quel momento ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu. Se gli americani non avessero modificato la loro linea, gli disse Andreotti, Craxi non sarebbe andato negli Stati Uniti per la riunione del G7 presieduta da Reagan. Walters prese contatto con la Casa Bianca e annunciò ad Andreotti, nel giro di poche ore, l’invio a Craxi di una lettera pacificatrice del presidente americano. Al messaggero della lettera era stato dato l’incarico di dire al presidente del Consiglio italiano: “Se il popolo americano avesse ricevuto le informazioni che egli aveva ora ricevuto, si sarebbe comportato in modo diverso”.
Aggiungo, cara signora Cortesi, che la crisi di Sigonella ebbe qualche ripercussione sulla politica nazionale. Si formò nella maggioranza governativa un fronte filo-americano, guidato dal partito repubblicano, e il ministro della Difesa Giovanni Spadolini provocò la crisi dell’Esecutivo. Ma la cordiale accoglienza che Reagan riservò a Craxi durante il suo viaggio a Washington costrinse i repubblicani a rivedere la loro posizione. Il governo tornò alle Camere per un nuovo voto di fiducia e Craxi pronunciò un discorso in cui confrontò la battaglia dell’Olp (Organizzazione per la libertà della Palestina) a quelle di Giuseppe Mazzini per l’unità italiana.