Corriere della Sera - La Lettura, 11 ottobre 2015
Pasolini giornalista
Fu il vicedirettore Gaspare Barbiellini Amidei, alla fine del 1972, a proporre a Piero Ottone, che conduceva il «Corriere» da meno di un anno, la collaborazione di Pier Paolo Pasolini. Ingaggio sul filo della sfida impossibile: l’intellettuale «marxista», eretico, corsaro, scandaloso sulle pagine del quotidiano della borghesia milanese… Eppure il matrimonio durò quasi tre anni (fino alla morte dello scrittore) e non fu un rapporto difficile. Ma è ancora più paradossale che con quelle premesse di dissonanza profonda la firma di Pasolini venga quasi identificata ancora oggi, nella memoria dei posteri, con la testata del quotidiano milanese (come è avvenuto con pochissime altre: Barzini, Buzzati, Montale, Montanelli...). Una sola volta Ottone prese in mano il telefono per chiedere a Pasolini (che non incontrò mai personalmente) un ripensamento a proposito di un suo pezzo a rischio di querela e Pasolini non fece alcuna resistenza.
Pasolini aveva già dato prova, sui giornali, della sua imprevedibilità polemica: dal maggio 1960 al settembre ’65 aveva tenuto la rubrica «Dialoghi» sul settimanale del Pci «Vie Nuove»; poi, dall’agosto 1968 al gennaio 1970, sul «Tempo» aveva pubblicato, sotto la rubrica «Il caos», interventi liberi sull’attualità. Sempre sul «Tempo» avrebbe poi ripreso a collaborare tra il ’72 e il ’75 soprattutto come critico letterario. Sono scritti che, come ha osservato Piergiorgio Bellocchio, «formano il capitolo più congestionato, convulso e caotico di tutta la produzione saggistica di Pasolini», in cui i temi del «corsaro» e del «luterano» (neocapitalismo, nuovo fascismo, sviluppo e progresso, mutazione antropologica, edonismo, genocidio eccetera) sono già presenti.
Non è che la foga militante di Pasolini si esaurisca sulle colonne del «Corriere», se è vero che negli stessi anni continua a scrivere anche per altri giornali: non solo il «Tempo», ma «Il Mondo», «l’Espresso», «Epoca», «Europeo», «Panorama», «Rinascita», «Paese sera». Il primo articolo inviato a Barbiellini (Contro i capelli lunghi ) esce il 7 gennaio 1973 in seconda pagina sotto la rubrica «Tribuna aperta», uno spazio franco destinato a opinioni non necessariamente condivise dalla direzione. Stessa collocazione il 4 febbraio per il secondo intervento, sulla Trilogia della vita e la rappresentazione del sesso come forma di libertà d’espressione. E sempre in seconda pagina esce il 17 maggio l’articolo sullo slogan dei jeans Jesus. Il primo anno di collaborazione non è particolarmente intenso (4 pezzi). L’articolo del 9 dicembre 1973, Sfida ai dirigenti della televisione, un appello per un rilancio massiccio della lettura e della cultura in Tv, aprirà un ampio dibattito sulle tesi pasoliniane, accusate di mitizzare nostalgicamente (e con accenti reazionari) una presunta età dell’oro: il rimprovero più ricorrente (specie da sinistra) al Pasolini antimoderno e apocalittico.
D’altra parte, va detto che erano gli interventi provocati dai suoi stessi scritti a rilanciare nuove repliche, alimentando quell’ossessione alla ripetizione che è un tratto non solo retorico ma mentale. È con Gli italiani non sono più quelli, sulla mutazione antropologica, che la firma di Pasolini compare in prima pagina, nel taglio basso, il 10 giugno 1974.
Un censimento degli scritti giornalistici degli ultimi tre anni (realizzato da Valerio Valentini) mostra l’aumento esponenziale degli interventi sull’attualità e l’importanza che lo stesso Pasolini ha attribuito loro nel selezionarli per i due volumi antologici, Scritti corsari (1975) e Lettere luterane (progettato dall’autore e uscito «semipostumo» l’anno dopo): i «pezzi» del 1973 ritenuti degni di essere antologizzati sono solo 4 (3 dei quali apparsi sul «Corriere»); 12 quelli del 1974 (7 del «Corriere»); ben 26 (16 del «Corriere») sono del 1975. Un furore militante contemporaneo alla stesura del megaromanzo politico-visionario destinato a rimanere incompiuto, Petrolio, ma non per questo inoffensivo.