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 2015  ottobre 11 Domenica calendario

Tornatore fa gli spot per finanziarsi i film. Intanto arriva il suo “La corrispondenza”

L’atmosfera è di sicuro made in Tornatore. Una stazione, ben riconoscibile come la Centrale di Milano, e un innamorato che aspetta: per molto, molto tempo. Come si scopre alla fine, non l’amata ma un pacchetto di patatine, perché si tratta di uno spot per la San Carlo in onda da qualche giorno.
C’è pure un orologio che ricorda «La migliore offerta», quello sotto il quale Geoffrey Rush consuma l’ultima illusione. È un richiamo voluto, Tornatore?
«Sa che non ci avevo pensato? In effetti. Ma l’idea è dei creativi della J. Walter Thompson e non mia: mi è piaciuta e l’ho sviluppata, abbastanza divertito per il finale a sorpresa che dissacra la retorica della lunga storia romantica. A uno che volente o nolente fa pochi film come me, gli spot danno il piacere di tornare sul set fra un progetto e l’altro. E permettono di finanziare i film a cui si tiene senza aver l’obbligo di accettare cose che non convincono».
Ma un film vero è in arrivo, «La corrispondenza», in uscita a gennaio. Confermato?
«Confermatissimo».
Non che se ne sappia molto: Jeremy Irons e Olga Kurylenko protagonisti in un cast tutto internazionale, riprese fra la Gran Bretagna, il Trentino e il Lago d’Orta. Secondo le indiscrezioni che circolano su Internet, c’entrano un professore di una certa età e una stuntwoman in cui la fascinazione del rischio si accompagna a un antico senso di colpa.
«Non fidatevi del web, è un grande cortile in cui s’inventano molte bugie. Sì, la stuntwoman c’è, ma non mi va di rivelare altro. Ammetto di farlo per scaramanzia. Raccontare un film non porta bene, abbiate la pazienza di aspettare».
Capisco che, se è prevista una svolta nella trama come nella «Migliore offerta» o nella «Sconosciuta», stia ben attento a tenerla per sé. E allora parliamo di Oscar. Lei, che lo ha vinto a 33 anni con «Nuovo Cinema Paradiso», è un membro dell’Academy con diritto di voto.
«Che esercito orgogliosamente dal 1990».
Che ne pensa della selezione italiana di quest’anno? Qualcuno ha polemizzato, sostenendo che sarebbe stato meglio finanziare i film di Claudio Caligari finché era vivo, invece di mandarlo agli Oscar post mortem.
«Sto chiuso in sala di doppiaggio e ancora non ho visto Non essere cattivo, anche se tutti quelli di cui mi fido confermano che è formidabile. Lo so, la circostanza mette molta tristezza. Ma purtroppo il cinema funziona così: la lungimiranza è una virtù che si è persa, capisci che un film è buono solo quando è pronto e non prima di cominciarlo».
Non è che mancano i produttori esperti in grado di giudicare,come Franco Cristaldi che prese in mano il suo «Nuovo Cinema Paradiso» e l’aiutò a renderlo pronto per il mercato? Fino all’Oscar, appunto.
«Ma quello era tutto un altro mondo. Che io ho fatto in tempo a conoscere, con Goffredo Lombardo che mi produsse Il camorrista, e poi Cristaldi, e poi Rizzoli, fino ai Cecchi Gori. In quegli anni lì il regista parlava con una persona sola, che s’innamorava del progetto e usava tempo ed energie per trovare i finanziamenti. A ognuno il suo mestiere, la passione era la stessa ma i ruoli ben definiti».
Adesso, invece?
«Ha presente tutti quei loghi che passano prima dei titoli di testa? Sembra di sfogliare le pagine gialle. Mi chiamano e mi dicono: vieni? C’è da presentare il progetto ai distributori giapponesi. E a quelli del product placement, e poi il tax credit, e le film commission, e i dirigenti delle tivù. È così per tutti, per chiudere i film bisogna fare il giro delle sette chiese. Onore a Valerio Mastandrea che per Non essere cattivo ha preso in pugno la situazione con tanta passione e tanto amore. Certo che sarebbe stato meglio far lavorare tanto e in tempo un regista bravo come Caligari. Ma sarebbe stato anche peggio, a questo punto, se nessuno si fosse accorto di quanto è bello il suo film. Facciamo il tifo, allora: il primo passo è entrare nella short list».
Di sicuro i titoli italiani che ce l’hanno fatta, il suo ma anche «La grande bellezza» e molti anni fa «Mediterraneo», esprimono un’idea forte dell’Italia, apprezzabile dall’Academy e da un pubblico internazionale. Lo considera un’opportunità o un vincolo?
«Né l’una né l’altro. La formula non esiste: se ci fosse, l’Oscar lo vinceremmo tutti gli anni. E poi il successo è di tanti tipi e arriva in modi molto diversi. La migliore offerta non è andato a nessun festival eppure è piaciuto molto a pubblico e critica. Di Una pura formalità sapevo fin dall’inizio che non avrebbe fatto granché d’incassi, ma a suo modo è diventato un film di culto».
E lei che cosa sceglie, al cinema o su tutte le piattaforme dove ora si vedono i film?
«Ho visto da poco Inside Out con mia figlia. Idea straordinaria. E poi l’ultimo Bellocchio, e due film non proprio recenti ma molto interessanti, Locke e Synecdoche, New York».
Ma la tivù adulta, quella delle serie anglosassoni?
«Gli amici continuano a insistere: guardale che rimani intrappolato. Confesso, finora ne ho visto soltanto qualche pezzetto, quello che basta per capire quanto siano di qualità. E per dirmi che dev’essere fantastico non avere limiti nei tempi di narrazione».
twitter@esantoli
(ANSA) – Giuseppe Tornatore, 59 anni: oltre all’Oscar per «Nuovo Cinema Paradiso», ha vinto 4 David di Donatello come miglior regista: per «L’uomo delle stelle», «La leggenda del pianista sull’oceano», «La sconosciuta» e «La migliore offerta»