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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

In Libia, nonostante l’opposizione di Tobruk, si va verso un governo unico che potrà chiedere l’intervento dell’Italia

Francesco Semprini
Doppio passo sul fronte libico, verso la ricerca della stabilizzazione, e nella lotta al traffico di esseri umani. Un doppio passo che però rischia di nascere orfano di una reale legittimità, e con un percorso in salita. Dopo mesi di negoziati le delegazioni riunite in Marocco hanno raggiunto un accordo sulla lista dei nomi dei candidati alla guida del Paese, che ora passerà al vaglio dei due governi rivali di Tobruk e Tripoli. A dare l’annuncio è stato l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Bernardino León.
Il premier proposto per il nuovo esecutivo di concordia è Fayez Serraj (originario di Tripoli), membro del Parlamento di Tobruk. «Questo governo avrà bisogno del sostegno di tutti i libici e sono sicuro che ci sarà anche il supporto dalla comunità internazionale», avverte León.
Tale sostegno, però, sembra mancare da parte di Tripoli. Il capo delegazione Awad Abdel Sadek parla di «disastro», così come aveva fatto una settimana fa al termine della riunione all’Onu. «Bernardino León non ci ha dato l’opportunità di esprimere le nostre idee», dice Sadek, che è anche vicepresidente del parlamento tripolitino (Gnc). A suo parere manca un trattamento egualitario tra i rappresentanti di Tripoli e quelli di Tobruk, e accusa León di non essere imparziale. «Non facciamo parte di questo governo. Per noi non significa nulla», avverte Abdulsalam Bilashahir, parlamentare del Gnc, mentre c’è chi parla di «colpo di mano» di León.
Proteste a Bengasi
E mentre il generale Khalifa Haftar promette una «Bengasi liberata entro tre settimane», le strade della città si affollano di manifestanti che protestano contro l’accordo. Sulla bontà dell’intesa si è espresso il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che parla di «un’importante tappa del percorso verso l’auspicabile creazione di un governo di unità nazionale». Mentre Lady Pesc, Federica Mogherini (l’Ue è pronta a sostenere il piano con 100 milioni di euro) spiega che «non c’è tempo da perdere».
E il tempo non si è perso al Palazzo di Vetro di New York, dove poche ore dopo è giunto il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’Onu alla risoluzione che autorizza l’azione dell’Ue contro il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Il testo – cosponsorizzato dall’Italia – ha ricevuto 14 voti a favore con l’astensione del Venezuela. Anche la Russia ha dato il via libera alla risoluzione che permette a Ue e Stati membri, per un periodo iniziale di un anno, di «ispezionare e sequestrare barconi in acque internazionali al largo delle coste libiche se vi siano fondati motivi di credere che sono o saranno utilizzati per il traffico di migranti». Il sì di Mosca è arrivato dopo un «sostanziale» lavoro di «alleggerimento» nei contenuti e nel linguaggio del documento, come ha precisato il vice rappresentante di Mosca, Petr Iliichev.
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Antonella Rampino
Con l’accordo per un nuovo governo di unità nazionale possibile in Libia, il governo italiano si appresta a congelare il disegno di far passare a livello combat la partecipazione alla coalizione di 60 Paesi guidata dagli Stati Uniti per la guerra al Califfato in Iraq. Il mediatore Onu Bernardino León è infatti riuscito ad avere un via libera per un Consiglio di governo libico nel quale, con un premier e quattro vice, siano rappresentate tutte le componenti politico-religiose e territoriali, Tobruk, Tripoli, Misurata, Fezzan e Cirenaica. I cinque nomi, a partire dal candidato premier Faiz Al Siraj – prevedendo l’uscita di scena del generale Haftar -, dovranno ora passare al vaglio dai due parlamenti, Tobruk e Tripoli, e anzi proprio Al Siraj ha informato ieri sera Paolo Gentiloni che Tobruk discuterà l’accordo raggiunto al più presto, lunedì o martedì. Tobruk ha già attuato una modifica costituzionale per prolungare il proprio mandato, che scadeva il 20 ottobre. E si valuta che lo stesso possa fare, se necessario, León con il proprio incarico che scade a fine ottobre: l’intesa di ieri notte è solo una prima base, cambiare «mano» potrebbe non essere opportuno.
«Concentrarsi sulla Libia»
I tempi sono lunghi, ma si è insomma fatta più concreta l’ipotesi sulla quale si basa l’intervento di peace keeping a guida italiana in Libia. Intervento che deve infatti essere richiesto da un governo libico unitario e legittimo, sulla base di una risoluzione già depositata all’Onu, (primo firmatario il Regno Unito) ma ancora da far passare in Consiglio di Sicurezza.
Che il momento sia propizio per mettere nel cassetto i bombardamenti in Iraq lo lascia intendere anche lo stesso Renzi nei colloqui riservati, «noi ci concentriamo sulla Libia». Del resto assai complesso, per non dire impossibile, sarebbe far passare in Parlamento la partecipazione combat a una coalizione che non ha copertura né Onu né Nato, e dunque non rientrerebbe nemmeno nei casi previsti dalla seconda parte del famoso articolo 11 della Costituzione. Le risoluzioni Onu sulla lotta all’Is in Iraq hanno infatti come oggetto il contrasto ai foreign fighters e al trade petrolifero col Califfato: sono state utilissime per far varare il 20 agosto 2014 in Commissione Esteri la fornitura di kalashnikov e i 4 tornado in assetto da ricognizione richiesti dal governo iracheno, ma sono un discutibile appiglio per un via libera a bombardare.
L’upgrading a livello combat avrebbe evitato ulteriori tagli alla Difesa, ma soprattutto portato maggiore partecipazione alle decisioni e all’accesso alle informazioni, e proprio questo ha fatto sì che i nostri militari spingessero sul governo per un innalzamento dell’impegno. «Sono uomini di grande valore, partecipano da anni in teatri di guerra ma con le mani legate, ed è ormai una frustrazione», dice una fonte qualificata. Adesso, si guarda alla Libia, a una missione con avallo Onu. In queste ore si discute di una forza di stabilizzazione tutta italiana (ma gli inglesi vorrebbero farne parte) inizialmente di 500 uomini.