la Repubblica, 10 ottobre 2015
Il partito di Renzi non ha sindaci da candidare né a Roma né a Milano né a Napoli. Si deve studiare la crisi del Pd - sempre più Partito di Renzi - partendo da questo assunto
PARADOSSO messo in luce dalle tragicomiche disavventure del sindaco Marino, che tale resterà fino alla fine di ottobre, si può riassumere così. il Partito democratico è espressione diretta del premier-segretario che lo controlla con la sua indiscussa personalità; al punto che nel mondo renziano non sono graditi i riferimenti ai “compromessi” con la minoranza su questo o quel punto della riforma del Senato o le allusioni al cosiddetto “metodo Mattarella”, ossia a una procedura politica che tiene conto della voce di Bersani e dei suoi amici.
Al tempo stesso il Pd si trova alle prese con seri problemi in alcune delle maggiori città italiane. A Roma deve districarsi fra le “macerie” – definizione dell’ Osservatore Romano –, avendo tardato troppo a liberarsi di un primo cittadino inadeguato e dovendo adesso inoltrarsi lungo un sentiero pressoché inesplorato, verso elezioni che rappresentano un’incognita. Renzi voleva aprire la crisi in Campidoglio già prima dell’estate e avrebbe avuto ragione: ma poi ha rinunciato e adesso condivide il peso della mancata scelta con l’establishment del Pd romano.
A Milano il ritiro del sindaco Pisapia, che non intende ricandidarsi, ha aperto un vuoto. Si dirà che le amministrative di primavera sono ancora lontane ed è vero; ma sembra che per il Pd la ricerca di una candidatura forte sia più complicata del previsto, tanto che molti sperano in un ripensamento di Pisapia, personaggio peraltro non assimilabile al “renzismo”. Infine a Napoli si vorrebbe voltare pagina rispetto agli anni di De Magistriis, ma il quadro è ancora parecchio confuso. In tutte e tre le città le opposizioni sono agguerrite e sulla carta appaiono in grado di strappare l’amministrazione comunale al centrosinistra.
È chiaro a questo punto che il voto di primavera assumerà per il partito di Renzi un significato politico immediato. E non a caso qui si preferisce usare qui il termine “partito di Renzi”, anziché Partito democratico: per la semplice ragione che il processo di identificazione di quadri e militanti nel loro leader è ormai molto avanzato ed è stato incoraggiato in tutti i modi. Ma non può esistere una contraddizione così stridente fra la trasformazione carismatica del partito e l’incapacità di esprimere una classe dirigente omogenea a vincente nelle città- simbolo, quelle che coinvolgono la vita di milioni di cittadini e fanno titolo sulla stampa di tutto il mondo.
Sotto questo aspetto il caso Marino va molto al di là di uno scivolone locale: segna uno spartiacque e obbliga il premier- segretario a spendersi in prima persona per recuperare in pochi mesi il consenso della cittadinanza. Un’acrobazia che richiede determinazione, fantasia e sangue freddo. È qui c’è un altro paradosso: sulla carta l’unico candidato possibile per il Campidoglio sarebbe lo stesso Renzi. Esclusa per ovvie ragioni questa ipotesi, servirebbe un personaggio davvero “eccellente”, come dice il premier. Ma non è facile trovarlo, se deve essere realmente di primo piano e quindi estraneo al piccolo cabotaggio del Pd cittadino.
Per il momento Renzi afferma di voler accantonare le primarie, strumento ambiguo che mal si presta a interpretare le fasi di emergenza. Ma è difficile dimenticare che proprio lui deve la sua fortuna iniziale alle primarie: tagliare le radici di solito non porta fortuna. In ogni caso, stabilire una forma di centralismo democratico, cioè una rigida gerarchia nella scelta dei candidati sindaci, se da un lato conferma che il Pd sta diventando a tutti gli effetti il partito del premier, dall’altro rivela la notevole debolezza delle strutture locali. Il che lascia dubbiosi sugli errori e le leggerezze commessi e accentua il risvolto politico di un’eventuale sconfitta a Roma, a favore dei Cinque Stelle, o a Milano, a vantaggio della Lega.
Un punto è certo. Renzi non potrà rinunciare a svolgere campagna elettorale nelle grandi città. Non solo non dovrà sbagliare i candidati, ma gli sarà necessario affiancarli e sostenerli con il suo carisma. Dopo Marino, il costo di una sconfitta sarebbe troppo alto.