la Repubblica, 10 ottobre 2015
Ma questi premi Nobel per la letteratura chi li ha mai sentiti nominare?
CARO Augias, anche quest’anno il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato con criteri non prettamente artistici e letterari: basti pensare all’edizione del 1953 quando il premio fu assegnato ad un certo Winston Churchill. Spesso leragioni socio politiche hanno prevalso, così dopo Pinter, premiato forse per le sue posizioni anti Bush, nel recente passato si è voluta far cadere l’attenzione sulla questione turca con il premio a Pamuk. Non conosco con precisione i criteri di valutazione per un riconoscimento così prestigioso: ma dopo la poco piacevole e insoddisfacente lettura dei libri della scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, “La pianista” e “La voglia”, Nobel nel 2004, nutro seri dubbi sul metodo di valutazione seguito dagli accademici di Svezia. Forse dovrei concludere che vale la regola per cui l’assegnazione del Nobel è attribuibile alle simpatie politiche, come sembrano dimostrare i riconoscimenti a Grass, Pinter, Lessing, Fo, Herta Müller, Vargas Llosa e ora a Svetlana Aleksievic.
Mauro Luglio, Monfalcone – mamolulo@alice.it
ICRITERI con i quali si giudica un’opera letteraria sono sicuramente più aleatori di quelli che valgono per esempio per la Fisica o la Medicina. Anche se tutto è opinabile, nei riconoscimenti di tipo scientifico ci sono dei risultati da valutare, per la letteratura valgono invece sensazioni, sentimenti, espressività e, perché no, la politica. Se si scorre l’elenco degli scrittori insigniti del Nobel nel corso degli anni si scoprono nomi di cui solo gli specialisti oggi saprebbero dire qualcosa: Rudolf Christoph Eucken, Paul Johann Ludwig Heyse, Carl Gustaf Verner von Heidenstam, Karl Adolph Gjellerup, Henrik Pontoppidan, Wladyslaw Stanislaw Reymont. Non mi scandalizza che nell’assegnare il premio a Svetlana Aleksievic si sia tenuto conto anche della drammatica situazione ucraina. La letteratura è testimonianza, conta ovviamente il modo, il livello, con cui questa viene resa ma conta anche la situazione dalla quale il racconto scaturisce. Quando Aleksievic si dice convinta che la sua «letteratura dei fatti sia oggi più potente della fiction, delle storie che possiamo inventarci», afferma un principio profondamente condivisibile nel mondo diventato globale, dominato dalle immagini e dalla velocità della comunicazione. Poi conta ovviamente il modo con cui “i fatti” vengono raccontati. La Aleksievic ha aggiunto: «Dostoevskij le sue storie le cercava sui giornali». Infatti è così ma ciò che va considerato è che cosa uno scrittore è in grado di fare con un episodio di cronaca letto sul giornale. Dostoevskij, per restare a lui, è stato capace di affondare lo sguardo nell’animo umano come pochissimi o nessuno prima di lui. Davanti alle scene strazianti dei morti nella guerra ucraina, la scrittrice ha detto: «Piangevo e piango ancora, perché mi rendo conto quanto poco possa fare la parola». È vero, non può fare granché la parola, però resta la testimonianza, Uno degli scrittori citati prima, il polacco Wladyslaw Stanislaw Reymont, ebbe il premio nel 1924 “per il suo grande romanzo epico, ’I contadini’”. Anche se pochi si ricordano di lui, quei ‘contadini’ restano.