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 2015  ottobre 10 Sabato calendario

Il sindaco di Venezia, Brugnaro, vuole vendersi i quadri del Comune per ripianare i conti. Tra le opere da alienare c’è anche un Klimt

Venezia è intenzionata a vendere quadri dei suoi musei per non dover dichiarare bancarotta e l’indiziato numero uno è la «Giuditta II» di Gustav Klimt, conservata nelle sale di Ca’ Pesaro. Strano destino per una donna che, secondo la Bibbia, tagliò la testa al capo dell’esercito assiro Oloferne e che stavolta rischia di finire sacrificata.
Una certezza documentale c’è: gli eredi della Serenissima sono disposti a mettere all’asta «gioielli» del patrimonio pubblico pur di garantire un minimo di decoro alla città lagunare, visitata ogni anno da 30 milioni di turisti ma zavorrata da un debito di 62 milioni di euro. Una nuova «sparata» del pirotecnico sindaco Brugnaro? Sarà, ma la proposta è contenuta in un dossier che la giunta di Ca’ Farsetti, il municipio di Venezia, ha messo nelle mani del Parlamento.
Il documento chiede un aggiornamento della legge speciale su Venezia, sollecita l’erogazione di finanziamenti promessi ma mai arrivati (circa 19 milioni) e altri interventi – diciamo così – di finanza creativa. Accanto a proposte già udite in passato come una zona pedonale a pagamento attorno a San Marco o una tassa su chi arriva in città in treno, si chiede di «valorizzare il patrimonio mobiliare attraverso la vendita di opere d’arte di natura pittorica che non pregiudicano l’integrità delle collezioni esistenti».
Una dolorosa misura già adottata in anni recenti da altre amministrazioni cittadine, ad esempio con la vendita di Punta della Dogana al magnate Pinault, Ca’ Corner a Prada e il Fontego dei Tedeschi a Benetton. L’attenzione si è indirizzata ora sulla «Giuditta II» dipinta nel 1909 da Gustav Klimt, forse il pezzo più pregiato del XX secolo presente nei musei pubblici veneziani e su altre opere di arte contemporanea (altra indiziata è «Il rabbino di Vitebsk» di Marc Chagall, sempre a Ca’ Pesaro). Obiettivo: incassare circa 400 milioni – la sola Giuditta ne varrebbe 70 – da destinare alle esangui casse del comune di Venezia, alle quali, per evitare il deperimento di calli e campielli, servono almeno 100 milioni di euro l’anno pronta cassa. «Rosso» di bilancio a parte, Ca’ Farsetti cita un altro numero significativo: per l’ordinaria manutenzione della città (pulizia dei canali, riparazione degli immobili o altre cure minimali), il municipio ha nel cassetto la miseria di 200 mila euro.
Luigi Brugnaro, ieri a Roma proprio per battere cassa, non smentisce l’intenzione di intaccare il patrimonio pittorico della città ma frena sull’ipotesi Klimt: «Non è stata decisa alcuna cessione di opere d’arte di pregio – fa sapere —. Sarà necessario procedere a una verifica del patrimonio a disposizione, ma al momento non esiste alcun elenco. La situazione di bilancio di Venezia è nota a tutti: in mancanza di altre risorse, la salvaguardia della città potrebbe anche dover passare attraverso la rinuncia ad alcune opere d’arte cedibili perché non legate, né per soggetto né per autore, alla storia della città». Tradotto: Il criterio dovrebbe comunque essere quello di alienare opere non legate alla storia di Venezia; si può rinunciare a un Klimt, insomma, ma non un Canaletto o un Tiepolo.
Domanda chiave: si può fare? «Penso che quella di Brugnaro sia solo una battuta o più comprensibilmente una mezza minaccia per chiedere più risorse al governo» ha replicato ieri da Roma il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Il quale non lascia grande spazio a mediazioni: «Le norme del Codice dei Beni Culturali per evitare lo smembramento delle collezioni pubbliche chiudono il dibattito. Un dibattito che, visto dall’estero, farà altro male alla credibilità italiana».
Codice alla mano, ogni decisione del Comune di Venezia dovrebbe passare dall’ok della Soprintendenza che valuterà se ogni singola opera è parte integrante o no dell’identità cittadina. E nel caso di Klimt e Chagall? I due dipinti – fanno notare fonti del ministero – sono approdati a Venezia dopo essere stati esposti alla Biennale, dunque sarebbero legate a filo doppio alla storia della città.