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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

Berlino, quel filo conduttore che lega politica e affari, che continua a provocare con regolarità una sequela di disastri preoccupanti. Dalla Volkswagen, alla Deutsche Bank, fino al calo dell’export

Dieci anni fa, amano ricordare i politici tedeschi, la Germania era il “malato d’Europa”. Fatte le riforme strutturali a prezzo di duri sacrifici, soprattutto quella del mercato del lavoro, e con un ferreo controllo sui conti pubblici, dice la stessa narrativa, è diventata un esempio per tutti, il modello da seguire in Europa, un modello che a volte Berlino ha cercato di imporre con le maniere brusche.
Nel giro di pochi mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, dopo la “vittoria” del modello tedesco nella gestione della crisi greca, una serie di episodi clamorosi ha fatto venire a galla gravi lacune che sollevano interrogativi di fondo su questa visione. Sono vicende in apparenza disparate, ma che sarebbe sbagliato valutare isolatamente, e che possono riflettersi sul ruolo della Germania in Europa.
Certamente, stiamo parlando di un’economia che continua ad avere le migliori prospettive di crescita fra le tre grandi dell’area euro e dove la disoccupazione è ai minimi dell’ultimo quarto di secolo, e che continua a esibire molte eccellenze. La sfida economica potrebbe essere la meno difficile: il calo dell’export annunciato ieri, il più brusco dai tempi della recessione globale, non è privo di significato, anche se i dati mensili vanno presi con le pinze, e si somma ad altri dati negativi. La strategia di puntare sui Paesi emergenti, la ricetta di successo durante la crisi dell’eurozona, può in questa fase rivelarsi controproducente. Ma la flessione dell’export per ora è compensata dalla crescita dei consumi. È quello, dopo tutto, che tutti gli organismi economici internazionali chiedono alla Germania da tempo.
Lo scenario è però oscurato dall’ombra dello stupefacente scandalo Volkswagen, che non ha ancora cominciato a dispiegare i suoi effetti, e che per la prima volta mette in crisi un’immagine dell’industria tedesca costruita nel corso di decenni. Le ripercussioni sulla stessa Volkswagen, la più grande impresa manifatturiera del Paese, e più in generale su un settore cruciale come quello dell’auto, sono tuttora imprevedibili, ma saranno pesanti.
Meno sorprendente è stato l’annuncio di Deutsche Bank, anche in questo caso il numero uno del proprio settore, di una perdita di 6 miliardi di euro nel trimestre per far fronte agli esborsi attesi per multe e cause giudiziarie. Deutsche Bank non è certo un caso isolato nella finanza globale, ma è primatista per il suo coinvolgimento negli scandali e le penalità ricevute. Quel che è successo è un caso palese di fallimento della governance, vero punto debole del sistema tedesco, altrettanto devastante di quello di Volkswagen. Se si estende l’osservazione da Deutsche Bank al resto del sistema finanziario tedesco, si scopre un filo conduttore di commistione fra politica e affari, che ha tra l’altro provocato con una regolarità preoccupante una sequela di disastri. La resistenza del settore, spalleggiato dalla politica, a una vigilanza europea meno accomodante è rivelatrice.
L’esito dei casi Volkswagen e Deutsche Bank dipenderà in modo decisivo dalla capacità di reazione delle due organizzazioni. Ma, senza un ripensamento più fondamentale, senza mettere in discussione le certezze incrollabili dell’establishment e anche dell’opinione pubblica, la via d’uscita è più lontana.
La Germania è però alle prese con una situazione nuova che va al di là di due casi aziendali, per quanto di enormi dimensioni. Una situazione sulla quale pesa anche l’emergenza rifugiati, cui il sistema ha risposto con evidente confusione. È la vicenda che può avere le conseguenze di più lungo periodo (anche positive, basti pensare al possibile contributo dei nuovi arrivati a una società che invecchia e manca di manodopera preparata), anche per l’impatto che ha avuto sulla leadership, finora inattaccabile, del cancelliere Angela Merkel. Sulla quale spirano venti senza precedenti di contestazione a casa propria e che può vedere incrinata la sua posizione egemone, più o meno riluttante, in Europa.