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 2015  ottobre 09 Venerdì calendario

In un romanzo di Eric Reinhardt la Madame Bovary del ventunesimo secolo. La storia di una donna tra violenze coniugali, asfissia esistenziale, amori sofferti, universi immaginari e tanti libri,. Un caso letterario

«Volevo restituire la potenza dell’enigma celato nelle donne che sopportano l’insopportabile, senza mai fuggire, e mettersi in salvo». Nella casa affacciata sulla chiesa di Saint-Paul-de-Vence, un gatto grigio fa le fusa, sale sul divano, prende il sole. Eric Reinhardt lo accarezza. È uno degli scrittori francesi più talentuosi ed eclettici. Oltre ai romanzi, è anche editore di libri d’arte, drammaturgo, sceneggiatore, ha appena finito di girare un cortometraggio dentro all’Opéra. “L’amore e le foreste” narra la discesa nell’inferno coniugale di Bénédicte Ombredanne, in un destino tragico e fatale, evocativo di altre epoche, se non fosse che è una donna di oggi, emancipata e indipendente come lo sono tutte, almeno sulla carta. La stampa francese ha definito il libro di Reinhardt una «Madame Bovary del ventunesimo secolo». Da Flaubert a Tolstoj, penetrare nel cuore di una donna infelice rimane un grande classico. «Sono andato nel più profondo di un’asfissia esistenziale», racconta Reinhardt che non firma un libro di denuncia, ma l’autopsia di una sofferenza spesso inconfessabile.
Ha incontrato davvero Bénédicte Ombredanne come racconta?
«Dopo la pubblicazione di Cenerentola, molte lettrici mi hanno scritto per dirmi che il romanzo le aveva fatte sentire meglio. Raccontavo l’unicità di ogni persona, con il diritto e la necessità a essere felice, malgrado tutto, aprendosi al mondo e alle sensazioni. La maggior parte delle donne con cui ho parlato soffriva per essere continuamente umiliata, offesa, sminuita dal marito. Ne ho parlato con delle amiche, scoprendo che è una forma di violenza coniugale molto diffusa e sottile».
Le confidenze femminili sono diventate la trama del romanzo?
«La scintilla c’è stata subito. Anche perché ho provato molta pena sentendo queste storie. Non c’è niente di peggio di qualcuno che, guardandoti negli occhi, ammette di aver sbagliato vita. Il libro però è maturato nel tempo, stavo scrivendo un altro romanzo e non avevo chiara la struttura narrativa. Ero convinto di volermi calare nella testa e nel corpo di una donna».
Quanto è stato difficile questo cambio di punto di vista?
«Molti dicono che sono scrittore dalla sensibilità femminile. Mi sta bene, anzi rivendico la possibilità per un uomo di avere entrambi i punti di vista. Nel mio precedente romanzo, Le Système Victoria, avevo già immaginato estratti del diario della protagonista, guardando il mondo con gli occhi di una donna di potere ed entrando nella sua sfera sessuale. Con questo romanzo, ho smesso di essere il narratore. Sono diventato Bénédicte. È stato necessario un altro incontro, quello nel treno che racconto nel finale, per far nascere L’amore e le foreste. E Bénédicte è diventata la sintesi delle donne che ho conosciuto nella fase di ricerca».
Perché donne colte, intelligenti e sensibili come la protagonista accettano di subire l’inferno?
«Il romanzo è in presa diretta con questa sofferenza. Non ho voluto dare spiegazioni. D’altronde, non le conosco. Dopo averne tanto parlato e scritto, l’enigma per me resta intatto. È una forma di radicalità sublime, una forza granitica e impenetrabile che mi affascina, tanto più che è incomprensibile. Certo, fuori dal libro, si possono fare delle ipotesi. Le donne come Bénédicte non sono combattenti, rifuggono i conflitti, le rotture. Lei ha orrore dell’ignoto e non riesce a immaginare una nuova vita. Infine, per molte donne ci può essere una forma di orgoglio disperato: andarsene significa prendere atto di un fallimento».
Nel primo capitolo e alla fine compare lo scrittore, come una sorta di backstage. È anche un romanzo sulla creazione letteraria?
«La violenza di un uomo su una donna è una delle componenti del romanzo, non l’unica. Volevo raccontare come nasce il desiderio di scrittura, il rapporto tra ispirazione e realtà, l’importanza della letteratura nell’esistenza. Cerco di fare libri inafferrabili, in cui si può leggere tra le righe. Ci sono cose che solo il romanzo può far capire, perché agisce su altri sensi, penetra diversamente nella coscienza».
Quali sono le foreste del titolo?
«La protagonista è soprattutto una lettrice. Ama i libri e gli scrittori, insegna letteratura, ha fatto la sua tesi su Villiers de L’Isle-Adam, uno dei precursori del simbolismo. Le foreste sono universi immaginari nei quali ci si può nascondere, sentendosi protetti. È un mondo interiore che ci salva dalla desolazione della realtà. Una scappatoia a portata di mano, molto di più di un cambio di vita con un altro amore. È anche il motivo per cui Bénédicte sceglie come confidente me, uno scrittore, e non un parente. Molte vittime di violenze mantengono una sorta di omertà, salvano le apparenze».
La protagonista trova per qualche ora la felicità ma decide di rinunciare. Perché?
«L’incontro con Christian è una sorta di epifania poetica. Bénédicte è lucida e intelligente. Vive un pomeriggio di felicità ma per idealismo non concepisce di avere un amante. È il suo romanticismo che la spinge a rompere con Christian in modo da mantenere intatta la bellezza di un ricordo. Diventa un feticcio della sua vita interiore, la cosa più preziosa che le è rimasta».