la Repubblica, 9 ottobre 2015
C’era una volta le Roi Platini. In una manciata di giorni, il Re Sole (che operava in nero) si è trasformato da futuro probabilissimo padrone del calcio mondiale in dirigente incenerito e senza domani
L’opera al nero di re Michel comincia quand’era ragazzo, e l’Inter vide forse troppo lontano. Nel 1978 Fraizzoli e Mazzola, lo ha raccontato Sandro più volte, gli diedero soldi (in nero, appunto) quando lui ancora stava al Nancy, aveva 23 anni e le nostre frontiere erano chiuse. Visite mediche segrete in Italia, 80 milioni di lire il costo del campioncino, 250 annui a Michel per 6 stagioni. La differenza tra lo stipendio versato dal Nancy e quello garantito dall’Inter venne, per così dire, sovvenzionata dalle amichevoli all’estero dei nerazzurri, finché Fraizzoli si stancò e anzi cercò di riavere indietro parte del gruzzolo. Eppure, quando Michel incontra Mazzola è immancabile la battuta: «Ehi, Sandro, voi mi dovete ancora 50 milioni!» Ora sarebbe curioso sapere quanti soldi Michel chiederà semmai a Blatter, per scherzo o sul serio. Ma due milioni di nerissimi franchi svizzeri dovrebbero bastare perché il padre uccida la carriera, l’immagine, l’ambizione e i sogni del figlio. Sepp, 79 anni. Michel, 60. Vent’anni in più d’esperienza, navigazioni in ogni mare ed equilibrismi politici hanno fatto la differenza. E così il colonnello seppure agonizzante ha sconfitto il Re Sole. Un re solo.
In una manciata di giorni, Platini si è trasformato da futuro probabilissimo padrone del calcio mondiale in dirigente incenerito e senza domani, nonostante lui continui a parlare di sé come chi non vuol capire, come chi non si renda conto («Chiarirò, resisterò fino alla fine, mi candiderò ancora, è un complotto»): come un ex suo malgrado, come un Marino qualsiasi. Invece, che a bruciarlo e non solo sospenderlo sia un Comitato che si chiama anche Etico, è una lapide. Lui che aveva fatto del fair-play non solo finanziario e della correttezza i suoi totem: sulle maglie dei calciatori in Coppa c’è scritto “respect”, l’ha voluto Platini in persona.
Eppure, questo è un sovrano che sulla cima del mondo non ha regnato neppure un giorno. Il sole gli è tramontato addosso prima ancora di cominciare, prima che la presidenza Uefa (l’Europa) lo lanciasse come una fionda verso la FIFA (il mondo). Ed è stato il colonnello Blatter a servirgli l’arsenico nel calice di champagne, con l’ombra di quei due milioni in nero, inspiegabili, un lavoro pagato con nove anni di ritardo. Perché? Come? Il nuovo, Platini, voleva cancellare il vecchio, Blatter, dopo essere stato suo consigliere speciale dal ‘99 al 2002, portando al tiranno i voti per la rielezione (anche quello dell’Italia), evitando di candidarsi, spingendo il Qatar verso il mondiale 2022. Certi favori non si fanno gratis. Peccato che qualcuno ora pensi che Michel Platini sia stato comprato non una sola volta, ma tre.
Adieu, finito. Non come quando smise di giocare, all’improvviso e senza avvisaglie: quella volta agì d’anticipo. Era il 17 maggio 1987, domenica brumosa, la Juve aveva appena battuto il Brescia 3-2 e Platini ci portò negli spogliatoi del Comunale, distribuì bicchieri in plastica, versò lo spumante e disse «ragazzi, non gioco più». Aveva solo 32 anni, era stanco e aveva avuto il mondo: quella volta sì.
Senza il pallone, tutto cambia. Da ct della Francia non vinse nulla. Invece da dirigente partì subito con una bella raccomandazione, Mitterand lo chiamò a capo del mondiale ‘98. Andò benissimo, tanto che Michel decise di imparare davvero il mestiere e si affidò a Blatter, chi meglio di lui? Il colonnello gli insegnò ogni dettaglio, ogni segreto e gli chiese in cambio anche l’anima, con la promessa che “un giorno, figliolo, quello che vedi sarà tuo”. Michel ci ha creduto, ha sgobbato, ha cercato e ottenuto il consenso delle piccole federazioni (qui i voti si contano, non si pesano): tutta discesa. Ma è proprio in discesa che le cadute possono uccidere.