Il Messaggero, 8 ottobre 2015
Terrore e venerazione, l’arte della politica per controllare le masse. In un saggio, Carlo Ginzburg spiega come i manifesti e raffigurazione estreme venivano usati a fini propagandistici. Da "Marat all’ultimo respiro" fino alla "Guernica" di Picasso
Che cosa accomuna una coppa d’argento dorato fabbricata ad Anversa a metà del Cinquecento, il Marat all’ultimo respiro di Jacques-Louis David, Guernica di Pablo Picasso e il manifesto con Lord Kitchener che, con il dito puntato verso lo spettatore, chiamava i britannici ad arruolarsi per la Grande Guerra? Lo stesso uso di Pathosformeln - “formule di pathos” – un termine coniato da Aby Warburg tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e che lo storico Carlo Ginzburg usa come passpartout universale nella sua ultima raccolta di saggi (Paura, reverenza, terrore, Adelphi, 311 pagg, 40 euro). Un libro che dimostra come, e perché, certi gesti usati dall’arte classica per esprimere passioni estreme sono stati usati dall’arte e dalla propaganda per fini politici. Allo scopo, spesso, di asservire o controllare le masse.
È stato il Rinascimento a recuperare i gesti della paganità orgiastica che, scrive Ginzburg, «il pio Medioevo aveva piamente censurato». Pathosformel è un concetto che può suscitare, con lo stesso mezzo “troppo espressivo”, emozioni opposte. Una vera e propria “inversione energetica”. È il caso del gesto ieratico di Cristo, che – in un lungo processo di copie successive e di trasformazioni repentine – diventa il braccio teso di Dio che crea Adamo, dipinto da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. O che arriva a fondersi, appunto, nelle sembianze di Lord Kitchener, l’uomo forte dell’Impero britannico. Quel «voglio te» del Segretario di Stato alla Guerra, richiamato in patria per volere di Sua Maestà, fu replicato su tanti manifesti di propaganda successivi. Se ne trova eco nel «fate tutti il vostro dovere» delle sottoscrizioni al prestito italiano, ma anche nel celeberrimo «I want you for U.S. Army» che lanciò nel mondo lo Zio Sam. La sua variante sovietica («ti sei arruolato come volontario?»), aveva gli stessi baffoni fluenti del generale inglese.
ARCHETIPO
Anche quel dito puntato deriva da un archetipo antico. Fu proprio Warburg a capire che il gesto di Orfeo messo a morte, in un disegno di Dürer, era lo stesso di certi vasi greci. Fu lui a intuire come l’estasi di una baccante poteva trasformarsi nella frenesia di dolore di Maria Maddalena, nella Crocifissione di Bertoldo di Giovanni. Estasi e lutto. I due estremi che si toccano, in un infinito gioco di specchi. Ginzburg dedica un intero capitolo a Hobbes e al concetto di awe. Una parola inglese in cui confluiscono, insieme, terrore e venerazione. E che ha avuto tanto successo da essere diventata Shock and awe, (“colpisci e terrorizza”), il nome in codice delle operazioni militari contro Saddam Hussein nel 2003. «Per Hobbes – spiega l’autore – lo stato di natura non è caratterizzato dalla socievolezza, ma dal suo contrario, la guerra di tutti contro tutti». Homo homini lupus. Una visione del mondo che deriva anche dal lavoro di traduzione di Hobbes dei classici. «La causa della religione è l’ansia del futuro», scriveva il filosofo nel Seicento. Un secolo più tardi, è la stessa angoscia per gli anni a venire a sostituire, al tempo della Rivoluzione francese, i simboli cristiani con quelli delle icone giacobine. A partire da Marat. Jacques-Louis David è l’artista simbolo di questo periodo di Terrore e Marat à son dernier soupir è il quadro più emblematico di un nuovo calendario rivoluzionario che ricalca gli stessi stilemi e le medesime “formule di pathos” del passato. Il legame di Marat con David, scrive Ginzburg, «era stato politico e personale». Fu lui a difenderlo, con grande coraggio, quando la Convenzione l’aveva messo sotto accusa. Per questo colpisce che abbia occultato i due quadri che raffiguravano la morte di Marat e di Le Peletier (oggi scomparso), come «per scongiurarne una possibile distruzione», oppure per cancellare le tracce del suo passato politico. «Qualcosa di tenero e di doloroso al tempo stesso», aveva scritto Baudelaire.
Ma che dire di Guernica, l’opera più rappresentativa della denuncia contro la guerra e il nazismo, ma da cui è assente ogni simbolo del totalitarismo preso a bersaglio? Picasso, scrive Ginzburg, preferì piuttosto inserire un’allusione alla mitologia greca, Pegaso, assieme a particolari classicheggianti come la spada spezzata, il guerriero prostrato. L’obiettivo era lo stesso: colpisci e terrorizza. Il nostro mondo è lo stesso del Leviatano.