Il Messaggero, 8 ottobre 2015
Su Sigonella ha avuto ragione Craxi. Lo dissero gli americani che riconobbero non solo la statura del premier italiano ma quella di un Paese che, in mano a statisti veri, può perfino farsi rispettare
Le alleanze internazionali, il rapporto con l’America, il Medio Oriente in fiamme: oggi o trent’anni fa? La storia non si ripete mai, spesso neanche si assomiglia, ma consente di cogliere certe assonanze, di fare parallelismi o di cercare elementi di continuità sia pure nel cambio dei contesti. Insomma, oggi è oggi ma in questi stessi giorni del 1985 la questione mediorientale si condensò in una notte cruciale. Quella di Sigonella. Che poteva finire molto male. Protagonista, Bettino Craxi. «In quella vicenda – scrive l’allora premier in uno dei documenti pubblicati ora dalla fondazione che porta il suo nome nel volume: La notte di Sigonella – io difesi il principio di sovranità nazionale. Pensavo all’Italia come ad una Nazione con tutti i suoi diritti, e non come ad una Italietta». Accadde in quella occasione ciò che si racconta nel documentario che Stefania Craxi presenta stasera al cinema Moderno. E che contiene particolari inediti, documentazione nuova e le testimonianze di protagonisti di quella vicenda politico-diplomatica quali Giuliano Amato, Michael Leeden, Nemer Hammad. I palestinesi attentatori della nave Achille Lauro, l’uccisione a bordo dell’ebreo americano Leon Klinghoffer, la fuga in aereo dei terroristi, l’atterraggio coatto a Sigonella dopo l’intercettazione da parte degli americani. E nell’aeroporto siciliano, la scena madre: 50 carabinieri circondano il Boeing 737 per prendere i palestinesi e una cinquantina di militari Usa circondano a loro volta gli italiani per prendere in carico a se stessi il gruppo terrorista e il mediatore Abu Abbas ritenuto complice. Si va allo scontro armato? Quasi. Il braccio di ferro sul suolo italiano tra le prerogative fatte valere con forza da Craxi – qui decidiamo noi, non siamo una colonia statunitense – e la Casa Bianca che vuole assicurare il gruppo sanguinario alla giustizia americana si risolve così: Bettino, notoriamente filo-arabo, impose la sua volontà. E con il suo diniego di consegnare i palestinesi dimostrò che i vincoli dell’Alleanza Atlantica e gli stretti legami di amicizia con gli Stati Uniti potevano e dovevano coesistere con i principi di giustizia internazionale.
Ora dai nuovi documenti – compresi i dispacci del Dipartimento di Stato finalmente declassificati – emerge quanto il governo Reagan capì subito e subito dopo, al di là del contrasto drammatico. Ovvero che le ragioni italiane era fondate. Il 24 ottobre, pochi giorni dopo Sigonella, l’ambasciatore Usa a Roma, Maxwell Raab, scrive a Washington: «L’esperienza dimostra che dobbiamo migliorare il nostro coordinamento, agire insieme piuttosto che unilateralmente». Nel carteggio Reagan-Craxi successivo a quell’evento, i «Dear Bettino» si sprecano. E comunque, ed è la morale documentata nel nuovo libro, gli americani riconobbero non solo la statura del premier italiano ma quella di un Paese che, in mano a statisti veri, può perfino farsi rispettare.