la Repubblica, 7 ottobre 2015
Così Snowden intasca un’altra vittoria. È lui, che con le rivelazioni sui i sistemi di sorveglianza Usa accese l’attenzione su questo tema
È un’altra vittoria di Edward Snowden a consentire di fare chiarezza sulla reale tutela della privacy globale.
La domanda dell’attivista austriaco Max Schrems – i nostri diritti sono davvero garantiti una volta che i dati che produciamo su Facebook passano dall’Europa agli Stati Uniti? ha infatti una premessa ineliminabile nelle rivelazioni dell’ex contractor dell’intelligence americana che stanno facendo discutere il mondo da oltre due anni. La stessa Corte europea di giustizia menziona il Datagate come presupposto ineludibile: senza sapere dell’esistenza del programma di sorveglianza PRISM, che consentirebbe alle spie della National Security Agency di accedere ai server di Mark Zuckerberg ma anche di Apple, Google e degli altri colossi web, gli attivisti avrebbero probabilmente continuato a scontrarsi con le resistenze delle istituzioni e il disinteresse del pubblico, come nell’era pre-Snowden.
Oggi invece la Corte, e su iniziativa di un semplice utente, stabilisce che le autorità nazionali degli Stati membri hanno il diritto di verificare che i diritti dei cittadini europei non vengano sacrificati all’altare, insaziabile, della “sicurezza nazionale” Usa. In più, ripete che la sorveglianza di massa è contraria ai diritti umani: l’avevano già stabilito a più riprese il Parlamento Europeo e l’Onu, ma quando i progetti di controllo più o meno indiscriminato si moltiplicano – in Francia, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Finlandia – ribadirlo non guasta.
Snowden, via Twitter, si congratula con Schrems, gli dice «hai cambiato il mondo». Ma la battaglia per la privacy è solo alle battute iniziali.
Quello delle scorse ore è un punto segnato dagli oppositori della NSA e dai loro compagni di battaglie: ed è un punto importante perché finalmente scalfisce la legittimità internazionale delle norme statunitensi che regolano la raccolta di metadati e contenuti delle comunicazioni di cittadini di tutto il mondo. Finora i progetti di riforma dell’amministrazione Obama non hanno nemmeno lambito questi punti, limitandosi all’intercettazione delle informazioni sulle telefonate da e per gli Stati Uniti. E le controparti britanniche del GCHQ (l’agenzia governativa di spionaggio elettronico) non sembrano affatto intenzionate a dismettere programmi come Tempora, capaci di registrare tutti i nostri dati mentre sono in transito sui cavi sottomarini che connettono il globo.
Con o senza l’accordo definito oggi «non valido» dalla Corte, (il “Safe Harbor”), rischiamo comunque di essere tutti potenziali pesci nel mare setacciato a strascico dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Ma non solo: anche i paesi europei sorvegliano la Rete e, come detto, in molti casi vogliono poterlo fare più, e non meno, di prima.
Ci sono poi paesi autoritari come la Russia, in cui dal primo settembre è in vigore una norma che – proprio con la scusa di evitare di fornire materiale al controllo americano – obbliga le aziende che operano nel paese a mantenere i dati raccolti sul territorio nazionale all’interno dei confini. Secondo Irina Borogan e Andrei Soldatov, autori del recente volume “TheRedWeb”, questa balcanizzazione di Internet è un effetto indesiderato delle rivelazioni di Snowden.
Ma il progetto di sottrarre lo scettro del governo della Rete alla sovranità Usale precede, e in ogni caso il problema esiste: inutile prendersela con chi contribuisce a chiarirne i contorni. Di fronte a una questione così vasta, gli attivisti hanno cominciato a mobilitarsi su più livelli. C’è l’informazione, con nuovi dettagli sulla sorveglianza americana e britannica che continuano a emergere dall’archivio Snowden; ci sono le soluzioni tecniche, ovvero ricorrere tutti e meglio alla crittografia – che infatti preoccupa le spie di Cameron quanto quelle di Obama; e c’è la battaglia legale e politica.
Da questo punto di vista, particolarmente ambizioso è il tentativo di creare un “trattato Snowden” che fornisca una sorta di equivalente della convenzione di Ginevra, solo in funzione antisorveglianza. Chissà che, di sentenza in sentenza, non finisca per diventare realtà.