ItaliaOggi, 6 ottobre 2015
L’Italia è ormai tra i campioni mondiali nel gioco d’azzardo. Secondo l’Economist tasse sulle scommesse e sui videogiochi fanno molto comodo al governo (e alle mafie). Così lo Stato biscazziere diventa anche il ludopatico numero uno
Il settimanale The Economist ha scoperto, nel suo ultimo numero, che l’Italia, pur avendo legalizzato le scommesse più tardi rispetto ad altri Paesi, è ormai tra i campioni mondiali nel gioco d’azzardo; aggiunge che le tasse sulle scommesse e sui videogiochi fanno molto comodo al governo, e conclude che tutto ciò alimenta però la ludopatia e favorisce la criminalità organizzata. In buona sostanza, nulla di nuovo. La forte propensione degli italiani al gioco d’azzardo era cosa nota da tempo, ma ciò che colpisce nel resoconto dell’Economist è il vero e proprio boom di questo settore, dove lo Stato biscazziere diventa anche il ludopatico numero uno, per la crescente dipendenza dalle tasse sui giochi. Uno scenario pieno di contraddizioni, che scandalizza il settimanale inglese, ma non sembra turbare più di tanto il governo di Matteo Renzi. Almeno finora.
Eppure alcuni dati non possono passare inosservati, mentre si parla di Legge di stabilità e delle solite difficoltà con Bruxelles per fare quadrare i conti. Secondo il Global Betting and Gaming Consultancy, nel 2014 gli italiani hanno perso nel gioco d’azzardo qualcosa come 17,2 miliardi di euro, il triplo rispetto al 2001. Una buona metà di questa perdita (oltre 8 miliardi) è stata incamerata dallo Stato sotto forma di tasse sulle scommesse e sui vari giochi autorizzati. Per capirci: il taglio dell’Imu-Tasi sulla prima casa, sui terreni agricoli e sugli imbullonati, promesso da Renzi per il 2016, pari a 5 miliardi, può dirsi ampiamente coperto dalle entrate sui giochi d’azzardo, anzi avanzano 3 miliardi, forse qualcosa di più, visto che nei periodi di crisi economica sono sempre più numerose le persone che tentato la fortuna con le scommesse e i videopoker.
Da noi, le scuole cadono a pezzi e non hanno internet, come ha osservato ieri Francesco Giavazzi sul Corriere della sera. Ma basta girare l’angolo, e una slot machine la trovi sempre. L’Italia è infatti il Paese europeo con la più alta densità di macchinette per giochi d’azzardo di ogni tipo. Secondo i dati Euromat, ne abbiamo ben 414 mila, pari alla metà di quelle esistenti in tutti gli Stati Uniti. La diffusione, da noi, è però più capillare, da record mondiale: una slot machine ogni 143 abitanti, mentre in Germania il rapporto è una ogni 261 abitanti e negli Stati Uniti una ogni 372. Nel settore delle videolottery, dove si scommette non uno ma dieci euro per volta, il primato dell’Italia è ancora più eclatante (e imbarazzante): su 160 mila di queste macchinette in funzione nel mondo, un terzo (50.985) si trovano in Italia. Non solo. Le tredici società concessionarie di scommesse e slot machine, precisa The Economist, stampano il 20% di tutti i “gratta e vinci” del mondo intero, con conseguente primato universale.
Grazie a una simile rete di slot machine distribuite in ogni angolo del Paese, a cui si sommano i gratta e vinci e le scommesse on line ampiamente reclamizzate in tv a qualsiasi ora, non sorprende che quasi un milione di italiani sia afflitto da ludopatia, con costi crescenti per la sanità pubblica, anche se difficili da quantificare per la resistenza di molte Asl e Regioni a fornire i dati. Il problema, tuttavia, sta diventando serio. E il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, è stato tra i pochi a riconoscerlo: «C’è un eccesso di offerta in alcune situazioni di gioco, troppa diffusione sul territorio. Dobbiamo trovare un equilibrio, partendo dalle condizioni di salute della società. Gli obiettivi sono la tutela della salute pubblica, la lotta all’illegalità e l’attenzione alle entrate».
A giudicare dai risultati, sembra però che il governo abbia avuto a cuore soprattutto il terzo punto, le entrate fiscali. Quanto alla lotta all’illegalità, secondo alcune stime, lo Stato è ormai un socio di minoranza sul mercato del gioco d’azzardo, dove nel 2014 la movimentazione di denaro sarebbe stata pari a 85 miliardi di euro, di cui appena 8 miliardi sono finiti nelle casse dell’Erario tramite gli incassi delle concessionarie, mentre le varie mafie che gestiscono scommesse e videogiochi illegali avrebbero ricavato 23 miliardi. Tanto che l’Economist dà per scontato che in Campania i videogiochi siano controllati dal clan dei Casalesi.
Quanto alla salute pubblica, basta ricordare l’appello in quattro punti lanciato in aprile dal quotidiano Avvenire, appello fatto proprio da varie associazioni di tutela dei consumatori, che afferma: «Deve essere stabilito che l’industria dell’azzardo legale non può continuare ad esibire la foglia di fico del finanziamento delle cure dei giocatori d’azzardo patologici. È lo Stato che deve farsi seriamente e concretamente carico del problema, riconoscendo e rendendo fruibili i Lea (livelli essenziali di assistenza), con la presa in carico dei servizi pubblici delle persone con Gap (gioco d’azzardo patologico), tassando secondo giustizia le aziende dell’azzardo». Negli altri tre punti il quotidiano cattolico chiede di disporre il divieto totale di pubblicità del gioco d’azzardo in qualunque forma e luogo, a cominciare dagli spot durante le partite di calcio; di riconoscere poteri adeguati a Regioni e Comuni per tutelare la salute dei cittadini, con forti argini alla diffusione del gioco d’azzardo sul territorio; varare una moratoria per i nuovi giochi d’azzardo, «ponendo in secondo piano l’ottica fiscale». Ma finora lo Stato biscazziere non si è ancora degnato di una risposta.