Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 06 Martedì calendario

Il trasporto aereo, grazie al petrolio in saldo, chiuderà l’anno con 25 miliardi di utili. AirFrance invece continua a viaggiare controvento. E dire che doveva salvare Alitalia

Scioperi, botte ai manager, ristrutturazioni che non decollano. Più – ciliegina sulla torta – 4 miliardi di perdite (2,7 milioni al giorno) in quattro anni. Doveva salvare Alitalia. Air France-Klm, invece, deve pensare oggi solo a salvare se stessa. Il 2015, in teoria, doveva essere il bilancio della svolta. Quello in cui la cura dimagrante varata nel 2012 (“Transform plan”) – costata 8mila posti di lavoro- avrebbe dovuto lasciare il posto al piano di rilancio e a nuovi investimenti. Invece no. Il trasporto aereo, grazie al petrolio in saldo, scoppia di salute e chiuderà l’anno con 25 miliardi di utili. Parigi invece continua a viaggiare controvento: i suoi voli a medio raggio scontano la concorrenza delle low-cost. Quelli intercontinentali soffrono l’aggressività del trio del Golfo (Emirates, Qatar Airways ed Etihad) e della Turkish. E mentre Lufthansa e Iag – nata dalle nozze tra British Airways e Iberia – iniziano a risalire la china dopo qualche anno di difficoltà, l’aerolinea transalpina, vittima dei suoi stessi errori, stenta a ritrovare la rotta.
Effetto low-cost
Il peccato originale del management è il ritardo con cui ha affrontato la sfida di Ryanair e Easyjet. Dieci anni fa – quando Air France si specchiava ancora nella sua grandeur – solo il 16% del traffico continentale era in mano ai vettori a basso costo. Oggi la mappa dei cieli europei è radicalmente cambiata e le low-cost sono al 40%. I numeri spiegano perché: il costo del personale Ryanair è pari al 10% delle spese. Quello di Air France al 29%. Lufthansa e Iag hanno iniziato da tempo ad affrontare i rivali con le loro stesse armi lanciando Eurowings e Vueling. Quando ci ha provato Parigi, trasformando Transavia nella anti-Ryanair transalpina con prezzi (e stipendi) ridotti, i dipendenti hanno detto “no”. Bloccando il servizio con 14 giorni di sciopero costati 425 milioni e costringendo i vertici a una mezza retromarcia. Il risultato, oltre ai bilanci, lo spiegano bene le quotazioni di Borsa: Air France vale 1,8 miliardi, Lufthansa 6, Iag 10 e Ryanair 18.
Gli emiri volanti
A far piovere sul bagnato si è aggiunta la rapidissima ascesa dei vettori del Golfo che, un passeggero alla volta, si stanno mangiando il mercato più ricco, quello business e premium. Il loro boom- a dire il vero – ha spiazzato un po’ tutti i big del settore e non solo Parigi. Cinque anni fa Emirates, Qatar ed Etihad trasportavano 39 milioni di passeggeri l’anno. Oggi, a colpi di petrodollari, sono a quota 129 milioni. I vettori europei e americani – fino a ieri acerrimi nemici tra loro hanno deciso di unire le forze accusando- li di volare sulle ali dei sussidi statali e chiedendo a Ue e Casa Bianca di intervenire. Anche in questo caso Air France si è mossa in ritardo: Lufthansa, in attesa di un improbabile aiutino “politico”, ha rafforzato l’alleanza con Turkish Airlines, diventata oggi il primo vettore per voli da e per l’Europa (davanti a British ed Emirates). La Iag ha risolto la sfida a modo suo, vendendo il 10% de capitale a Qatar Airways. Parigi è rimasta con il cerino in mano. Tradita anche da Etihad – suo partner commerciale in Skyteam – che le ha “soffiato” (se così si può dire) l’Alitalia e che con Roma, Air Serbia e Air Berlin, si prepara a farle concorrenza in casa.
I dissidi con Amsterdam
L’ex regina dei cieli continentali è diventata così oggi una Cenerentola, guidata da manager costretti alla fuga ( a torso nudo) davanti ai dipendenti infuriati. Consci che la ristrutturazione non è affatto finita e che per rimettere in piedi Air France serviranno altri piani lacrime e sangue. La partita per il salvataggio – o il rilancio come dicono ottimisti sotto la Tour Eiffell – è solo all’inizio. E a renderla più complicata, oltre alle relazioni sindacali tesissime, ci sono anche i delicatissimi equilibri geo-politici dell’azionariato. La compagnia- frutto della fusione con l’olandese Klm- è stata da sempre guidata in toto dalla componente francese. Ad Amsterdam però ha iniziato a montare la fronda. E qualche “nostalgico” pronto alla secessione ricorda come ai tempi di Klm non si sia mai chiuso un bilancio in rosso. Ora i tempi sono cambiati. L’ad Frederic Gagey è stato costretto a tranquillizzare i partner olandesi assicurando che «Air France non è un pozzo senza fondo». Una volta, ironia della sorte, si diceva solo dell’Alitalia.