la Repubblica, 6 ottobre 2015
Il trasporto aereo, grazie al petrolio in saldo, chiuderà l’anno con 25 miliardi di utili. AirFrance invece continua a viaggiare controvento. E dire che doveva salvare Alitalia
Scioperi, botte ai manager, ristrutturazioni che non decollano. Più – ciliegina sulla torta – 4 miliardi di perdite (2,7 milioni al giorno) in quattro anni. Doveva salvare Alitalia. Air France-Klm, invece, deve pensare oggi solo a salvare se stessa. Il 2015, in teoria, doveva essere il bilancio della svolta. Quello in cui la cura dimagrante varata nel 2012 (“Transform plan”) – costata 8mila posti di lavoro- avrebbe dovuto lasciare il posto al piano di rilancio e a nuovi investimenti. Invece no. Il trasporto aereo, grazie al petrolio in saldo, scoppia di salute e chiuderà l’anno con 25 miliardi di utili. Parigi invece continua a viaggiare controvento: i suoi voli a medio raggio scontano la concorrenza delle low-cost. Quelli intercontinentali soffrono l’aggressività del trio del Golfo (Emirates, Qatar Airways ed Etihad) e della Turkish. E mentre Lufthansa e Iag – nata dalle nozze tra British Airways e Iberia – iniziano a risalire la china dopo qualche anno di difficoltà, l’aerolinea transalpina, vittima dei suoi stessi errori, stenta a ritrovare la rotta.
Effetto low-cost
Il peccato originale del management è il ritardo con cui ha affrontato la sfida di Ryanair e Easyjet. Dieci anni fa – quando Air France si specchiava ancora nella sua grandeur – solo il 16% del traffico continentale era in mano ai vettori a basso costo. Oggi la mappa dei cieli europei è radicalmente cambiata e le low-cost sono al 40%. I numeri spiegano perché: il costo del personale Ryanair è pari al 10% delle spese. Quello di Air France al 29%. Lufthansa e Iag hanno iniziato da tempo ad affrontare i rivali con le loro stesse armi lanciando Eurowings e Vueling. Quando ci ha provato Parigi, trasformando Transavia nella anti-Ryanair transalpina con prezzi (e stipendi) ridotti, i dipendenti hanno detto “no”. Bloccando il servizio con 14 giorni di sciopero costati 425 milioni e costringendo i vertici a una mezza retromarcia. Il risultato, oltre ai bilanci, lo spiegano bene le quotazioni di Borsa: Air France vale 1,8 miliardi, Lufthansa 6, Iag 10 e Ryanair 18.
Gli emiri volanti
A far piovere sul bagnato si è aggiunta la rapidissima ascesa dei vettori del Golfo che, un passeggero alla volta, si stanno mangiando il mercato più ricco, quello business e premium. Il loro boom- a dire il vero – ha spiazzato un po’ tutti i big del settore e non solo Parigi. Cinque anni fa Emirates, Qatar ed Etihad trasportavano 39 milioni di passeggeri l’anno. Oggi, a colpi di petrodollari, sono a quota 129 milioni. I vettori europei e americani – fino a ieri acerrimi nemici tra loro hanno deciso di unire le forze accusando- li di volare sulle ali dei sussidi statali e chiedendo a Ue e Casa Bianca di intervenire. Anche in questo caso Air France si è mossa in ritardo: Lufthansa, in attesa di un improbabile aiutino “politico”, ha rafforzato l’alleanza con Turkish Airlines, diventata oggi il primo vettore per voli da e per l’Europa (davanti a British ed Emirates). La Iag ha risolto la sfida a modo suo, vendendo il 10% de capitale a Qatar Airways. Parigi è rimasta con il cerino in mano. Tradita anche da Etihad – suo partner commerciale in Skyteam – che le ha “soffiato” (se così si può dire) l’Alitalia e che con Roma, Air Serbia e Air Berlin, si prepara a farle concorrenza in casa.
I dissidi con Amsterdam
L’ex regina dei cieli continentali è diventata così oggi una Cenerentola, guidata da manager costretti alla fuga ( a torso nudo) davanti ai dipendenti infuriati. Consci che la ristrutturazione non è affatto finita e che per rimettere in piedi Air France serviranno altri piani lacrime e sangue. La partita per il salvataggio – o il rilancio come dicono ottimisti sotto la Tour Eiffell – è solo all’inizio. E a renderla più complicata, oltre alle relazioni sindacali tesissime, ci sono anche i delicatissimi equilibri geo-politici dell’azionariato. La compagnia- frutto della fusione con l’olandese Klm- è stata da sempre guidata in toto dalla componente francese. Ad Amsterdam però ha iniziato a montare la fronda. E qualche “nostalgico” pronto alla secessione ricorda come ai tempi di Klm non si sia mai chiuso un bilancio in rosso. Ora i tempi sono cambiati. L’ad Frederic Gagey è stato costretto a tranquillizzare i partner olandesi assicurando che «Air France non è un pozzo senza fondo». Una volta, ironia della sorte, si diceva solo dell’Alitalia.