la Repubblica, 3 ottobre 2015
I diesel diffondono il cancro? Il sindaco di Parigi vuole vietare queste automobili dal 2020
L’Epa, l’ente di controllo americano che ha smascherato il trucco di Volkswagen, ha deciso di allargare l’indagine. Saranno passati al setaccio i motori diesel di una ventina di modelli di cinque costruttori: Gm, Chrysler, Mercedes, Land Rover e Bmw. Non ci sono al momento contestazioni particolari ma l’allargamento dell’indagine è motivato con la necessità di fare un’analisi approfondita sulle emissioni. Le autorità americane hanno annunciato l’allargamento dell’indagine con una lettera ai costruttori. I test saranno effettuati su auto usate, in prevalenza prese dalle società di autonoleggio ma anche da privati ai quali l’Epa fornirà vetture sostitutive per il tempo necessario alle analisi, circa un mese. Solo per i modelli che dovessero far nascere particolari sospetti si prevedono richiami.
La mossa della autorità americane avviene nel giorno in cui anche in Europa (Francia, Svizzera e Italia) le autorità si stanno muovendo per individuare eventuali altre frodi. Ieri la Mercedes ha fatto sapere che è “favorevole all’introduzione di nuovi test che siano più vicini alle condizioni standard di utilizzo dei veicoli”, in sostanza i test che compendono anche un ciclo di prova su strada. Mercedes ha detto di collaborare sia con le autorità Usa che con quelle europee.
I tempi della nuova indagine Usa dovrebbero essere relativamente celeri. Gli obiettivi sono due: verificare qual è la distanza, che sempre esiste, tra i consumi su strada e quelli rilevati in laboratorio e capire se altri costruttori oltre alla casa di Wolfsburg hanno barato manomettendo le centraline elettroniche in modo da ridurre le emissioni in occasione dei test. Fino ad oggi tutti i costruttori concorrenti di Volkswagen hanno negato nel modo più deciso di aver mai dopato i controlli come invece ha ammesso di fare la principale casa tedesca. E ieri, proprio da Bruxelles, è arrivata la rassicurazione sul fatto che non risultano altri costruttori implicati nella truffa.
Il caso Volkswagen continua ad agitare i responsabili economici di Berlino. Ieri il presidente della Bundesbank, Jens Wiedemann, ha detto che lo scandalo “potrebbe avere conseguenza imprevedibili” e che “bisogna correre rapidamente ai ripari per evitare ulteriori danni al Made in Germany”. La casa di Wolfsburg ha cominciato a mettere in rete i numeri di telaio dei motori incriminati. Nella tempesta c’è da segnalare l’iniziativa di Fca che dal 2 al 31 ottobre offre condizioni particolari di permuta a chi consegna un’auto del gruppo Volkswagen per acquistarne una del Lingotto (p.g.).
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ROMA. Profezie fosche sul futuro del diesel. Lo scandalo della Volkswagen ridà fiato a tutti i dubbi che da Londra a Parigi vorrebbero bandire il motore a gasolio almeno dai centri delle città. In realtà, dietro le battaglie pro o contro il sistema di propulsione più diffuso in Italia (55 per cento del mercato) c’è uno scontro tra lobbies sulle due sponde dell’Atlantico e nello lo stesso Vecchio continente. Ieri, con una mossa del tutto irrituale, l’Acea, l’associazione dei costruttori europei dove l’influenza tedesca è, ovviamente, molto forte ha scritto una lettera ai primi ministri chiedendo il rinvio di due anni (dal 2017 al 2019) dell’entrata in vigore dei tetti delle emissioni inquinanti. È evidente che se i test saranno più severi molte case, non solo Volkswagen, non saranno in grado di rispettare i nuovi vincoli. Ma il passaggio sorprendente della missiva è nella conclusione: “Siamo consapevoli – scrivono i vertici dell’Acea che gli Stati Uniti vogliono sfidare il ruolo di leadership che i produttori europei hanno a livello mondiale” nei motori diesel.
La teoria del complotto utilizzata per attutire le conseguenze di una truffa è una soluzione abbastanza inconsueta per un’associazione che dovrebbe innanzitutto tutelare la salute dei clienti. Il passaggio è comunque significativo perché lascia intravedere la forza degli interessi in gioco nella guerra dei motori. Per il diesel il nemico numero uno in Europa è Anne Hidalgo, prima cittadina di Parigi. La sua ha l’aria di una vera e propria crociata dato che l’obiettivo dichiarato è addirittura quello di chiudere la capitale francese alle auto a gasolio nel 2020. Una decisione che ha fatto immediatamente proseliti. A cominciare da Londra che sta pensando di far pagare un ticket di accesso all’area C della città (soggetta a congestion charge) di circa 20 sterline.
È comunque una storia lunga quella della pericolosità delle emissioni del diesel alimentata dalle dichiarazioni della Oms (l’organizzazione mondiale per la sanità) che già nel 2012 aveva sostenuto che i gas di scarico di questi motori possono essere causa di tumori ai polmoni. Stando alle tabelle dell’Oms, i diesel sono pericolosi per la salute tanto che due anni fa le emissioni provenienti da questi motori passarono dal gruppo 2, quello delle sostanze probabilmente cancerogene, al gruppo 1, quello delle sostanze definite “cancerogene certe” per l’uomo. Nel frattempo le quote di mercato del diesel continuavano a crescere in Europa mentre rimanevano quasi assenti in territorio americano.
I costruttori del Vecchio continente riuniti nell’Acea avvertono l’Ue: senza gasolio crollerà il nostro settore auto
Sull’effettiva pericolosità come al solito le scuole di pensiero sono due. I detrattori del diesel affermano che a fronte di una minore produzione di CO2 corrisponde una quantità più alta di ossidi di azoto, le cosiddette polveri sottili che non inquinano l’aria ma penetrano nei polmoni, diventando veri e propri killer anche ai livelli più bassi di esposizione. I difensori del diesel, viceversa, sostengono che gli ossidi di azoto emessi (Nox) vengono eliminati totalmente dai cosiddetti postcombustori, ovvero i filtri antiparticolato (Fap) che li trasformano in gas volatili. E aggiungono che il diesel garantisce consumi più bassi. A parte l’aspetto tecnico, comunque non trascurabile, la verità è che l’adeguamento di questi motori ai test di omologazione sta diventando sempre più complesso e costoso. La stessa Volkswagen, a suo tempo, aveva trovato anche un sistema per ridurne le emissioni, una sorta di filtro a base di urea, congegno che però venne rispedito al mittente perché comportava la spesa aggiuntiva su ogni modello di circa 300 euro. Mai scelta fu più sbagliata. Per il futuro, comunque, cambieranno molte cose. I primi modelli a farne le spese saranno proprio i più piccoli, citycar e compatte. Il costo di adeguamento alle norme per modelli dai listini più bassi non renderà più competitiva la loro produzione e quindi è evidente che nel giro di poco tempo la quota di alimentazione diesel si abbasserà drasticamente a favore di benzina e sistemi ibridi. Poi toccherà a quelli più grandi. Ma con tutta probabilità anche a loro saranno ridimensionati. Le crociate sono inarrestabili. Così il Guardian e l’Indipendent, per tornare in Gran Bretagna, riportano i risultati di un’indagine a livello europeo condotta dall’organizzazione tedesca Adac sulla base di test più rigorosi, destinati però a entrare in vigore come obbligatori nei Paesi Ue solo nei prossimi anni. Le conclusioni di questa ricerca sono un colpo allo stomaco per questi motori: alcuni dei modelli diesel venduti da aziende leader fra cui Renault, Nissan, Hyundai, Citroen, Fca e Volvo – esaminati secondo i nuovi standard – rivelano emissioni nocive superiori fino a 10 volte i livelli delle norme europee.
Ma il vero interrogativo è quello che ieri sottolineava la Reuter: quante aziende europee sarebbero pronte oggi a passare dal diesel all’ibrido?