Corriere della Sera, 3 ottobre 2015
La Grande Madre finisce in televisione
Per sfuggire al maramaldeggiare di Corrado Formigli nei confronti dell’indifendibile Ignazio Marino e dello sprofondo romano, mi sono rifugiato nell’arte. O meglio: nella divulgazione dell’arte, come aveva teorizzato Walter Benjamin: «La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa per la prima volta nella storia del mondo quest’ultima dalla sua esistenza parassitaria nell’ambito del rituale. L’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproducibilità».
Fine del valore culturale, perdita dell’aura. Inizio del valore espositivo: si dà piena legittimità alla circolazione della copia. In una parola, televisione.
Eccomi dunque a seguire un documentario dedicato a «La Grande Madre», la mostra allestita a Milano, a Palazzo Reale (Sky Arte, giovedì, 20.10). Con il termine «Grande Madre», fin dai tempi della più remota antichità, si indica una divinità femminile in cui si incarnano gli aspetti fondamentali della vita umana: la fertilità, soprattutto il potere generativo della donna.
Attraverso le opere d’arte di 130 artisti di fama internazionale, «La Grande Madre» analizza l’iconografia e la rappresentazione della condizione femminile e della maternità nell’arte («la magica autorità del femminile», secondo Jung), dalle avanguardie futuriste, dadaiste e surrealiste alle artiste femministe degli anni Settanta del Novecento, fino ai nostri giorni.
A fare da guida, nomi illustri: dal curatore Massimiliano Gioni, direttore artistico della Fondazione Trussardi, a Lea Vergine, da Marco Belpoliti a Guido Tintori, ad altri ancora. «In vari momenti storici – ha spiegato Gioni – l’immagine della Grande Madre è stata utilizzata da molte artiste per impossessarsi di un nuovo senso di potere e forza, una forza femminile in cui il potere è esercitato non semplicemente come violenza, ma soprattutto come capacità di dare e trasformare la vita».