Il Sole 24 Ore, 1 ottobre 2015
Un governo delle grandi monete. Se non si vuole rinunciare alla mobilità dei capitali, occorre eliminare l’eccesso di liquidità, ritornando a una regola monetaria nella gestione del dollaro. Per arrivarci oggi c’è una nuova opzione politica: il possibile interesse degli Stati Uniti, l’attuale maggiore produttore di liquidità mondiale, a cooperare con la Cina, il futuro potenziale maggior produttore. Un accordo monetario che sarebbe poi completato dall’Europa, la cui valuta già segue una disciplina monetaria
Ai mercati farebbe tanto bene avere una banca centrale “una e trina”, con i vertici a Washington, Pechino e Francoforte. L’instabilità dei mercati finanziari – preoccupazione per i debiti dei Paesi emergenti inclusa – rischia di diventare un tratto endemico dell’economia mondiale. L’instabilità permanente è il frutto di mix inedito tra l’eccesso di liquidità mondiale e la globalizzazione del mercato internazionale dei capitali. Se non si vuole rinunciare alla mobilità dei capitali, occorre eliminare l’eccesso di liquidità, ritornando a una regola monetaria nella gestione del dollaro. Per arrivarci oggi c’è una nuova opzione politica: il possibile interesse degli Stati Uniti, l’attuale maggiore produttore di liquidità mondiale, a cooperare con la Cina, il futuro potenziale maggior produttore. L’accordo monetario tra i due Paesi leader si baserebbe su due pilastri: il renminbi entra nel club delle valute di riserva; entrambi i Paesi si impegnano al rispetto della triade monetaria, vale a dire libera circolazione dei capitali, flessibilità dei cambi e regola monetaria interna. L’accordo monetario sarebbe completato dall’Europa, la cui valuta già segue una disciplina monetaria.
In un momento in cui l’incertezza continua a caratterizzare la dinamica di mercati monetari e finanziari, due eventi non convenzionali si sono verificati. Da un lato, il Fondo monetario internazionale ha esplicitamente invitato gli Stati Uniti a continuare il ciclo di espansione monetaria del dollaro, che oramai dura da quasi un decennio, alla luce del rischio che una inversione di tendenza provochi lo scoppio di una nuova bolla, rappresentata dal debito dei Paesi emergenti. Dall’altro lato, la Cina ha altrettanto esplicitamente ringraziato gli Stati Uniti per aver appoggiato il desiderio di far salire lo status della sua valuta nazionale – il renminbi – a moneta di riserva internazionale, al pari di dollaro statunitense, euro, sterlina inglese e yen giapponese. I due fatti sono legati da un filo rosso, rappresentato dalla necessità di definire un ordine monetario internazionale, dopo la scossa tellurica rappresentata dalla Grande crisi iniziata nel 2008.
Continua pagina 28 Donato MasciandaroContinua da pagina 1 La richiesta del Fondo monetario è inedita. Si chiede al maggior produttore di valuta di riserva di non ridurre tale produzione, in ragione degli squilibri che provocherebbe sui mercati internazionali. A ben vedere, è anche una richiesta paradossale: si domanda a un piromane, che una volta era pompiere, di tornare a fare il pompiere. Fuori di metafora: fino alla vigilia della Grande crisi, la produzione del dollaro era nei fatti disciplinata da una regola monetaria di tipo congiunturale: la produzione cresceva quando occorreva stabilizzare un ciclo anemico, si riduceva quando era necessario raffreddare un ciclo troppo frizzante. Di riflesso, in un sistema monetario caratterizzato da mobilità dei capitali e flessibilità del tasso di cambio, la regola monetaria del dollaro poteva rappresentare un fattore di stabilità anche per gli altri produttori di moneta di riserva. Quando gli Stati Uniti hanno abbandonato la regola monetaria, adottando la politica della accondiscendenza monetaria – tassi sempre e comunque bassi – e intrecciandola con la deregolamentazione finanziaria, hanno creato direttamente la bolla finanziaria nazionale, e di riflesso bolle finanziarie prima in Europa, poi nei Paesi emergenti. Al pompiere diventato piromane ora il Fondo chiede di tornare pompiere, innescando una paradossale meccanismo di “creazione di bolle a mezzo bolla”, per cui la necessità di evitare dissesti finanziari consiglia di perpetuare una espansione monetaria, che a sua volta può creare i presupposti per una nuova bolla. Alla fine, l’essere il maggior produttore della liquidità mondiale può diventare un catalizzatore di instabilità, interna ed internazionale. Soprattutto se quel produttore – gli Stati Uniti – ha difficoltà, per ragioni interne sia economiche che politiche, a tornare a definire e rispettare una regola monetaria.
Nello stesso tempo, però, il mondo è cambiato: un nuovo potenziale produttore di moneta internazionale si è affacciato sul proscenio, la Cina. Le ragioni che possono spingere un Paese ad essere produttore di moneta di riserva sono di natura sia economica che politica. Il fatto rimane: la Cina desidera che il renminbi assuma tale status. Rispetto a tale ambizione, un passaggio essenziale è che il Paese produttore si impegni a rispettare nei fatti quello che possiamo chiamare il “terzetto monetario”: mobilità dei capitali, flessibilità del tasso di cambio, autonomia della politica monetaria. La Cina era fino a pochi anni fa assolutamente agli antipodi del terzetto monetario: completo controllo dei capitali, controllo del cambio, dipendenza della politica monetaria. Oggi invece la Cina afferma di voler disegnare una politica economica coerente con il terzetto, e ha anche fatto passi concreti in tal senso. Ma sono irreversibili? E sono credibili? Il Fondo monetario procede con grande cautela, ma allo stesso tempo gli Stati Uniti dichiarano di appoggiare la richiesta cinese. L’apertura di credito statunitense nei confronti della Cina, se confermata, sarebbe una buona notizia: rappresenterebbe senz’altro un investimento in fiducia, e potrebbe essere anche un fattore di stabilizzazione globale. La creazione di un duopolio basata sul reciproco rispetto del terzetto monetario avrebbe un effetto-disciplina nazionale e internazionale, non limitato agli Stati Uniti e alla Cina. Il terzo vertice sarebbe logicamente rappresentato dall’Unione europea, che già segue una regola monetaria. L’accordo monetario sarebbe nei fatti la creazione dei presupposti di una banca centrale globale, in cui il coordinamento delle azioni monetarie diviene risultato automatico nelle congiunture normali, e possibile strumento attivo di cooperazione tra banche centrali nelle situazioni straordinarie. La normalizzazione delle politiche monetarie non può che passare dal riconoscimento del fatto che anche la produzione della liquidità mondiale deve tener conto dei cambiamenti in atto nello scacchiere economico globale. Anche la stabilità monetaria e finanziaria di tutti, Paesi maturi e avanzati, ne trarrebbe giovamento.