Libero, 1 ottobre 2015
L’imprenditore che preferiva pagare gli stipendi ai dipendenti piuttosto che versare i soldi nelle casse del fisco e il giudice gli ha dato ragione: non solo annullando cartelle esattoriali per 660mila euro, ma, per la prima volta, scaricando su Equitalia l’onere della prova
Preferiva pagare gli stipendi ai dipendenti piuttosto che versare nelle casse del fisco e il giudice gli ha dato ragione: annullando cartelle esattoriali per 660mila euro, e, per la prima volta, scaricando su Equitalia l’onere della prova che si trattasse di tributi davvero dovuti. La vicenda riguarda un fabbro di Venezia che, per non aver versato, a causa della crisi, parte dei contributi previdenziali, ha ricevuto, tra aggi e more accumulati, l’inaffrontabile cartella esattoriale. L’artigiano si è rivolto all’associazione di consumatori Aua di Padova, che ha presentato ricorso, sull’idea che debba essere l’accusatore (Equitalia) a provare la colpevolezza dell’accusato (il cittadino). Un principio base dell’ordinamento giuridico italiano, che però non vale per il fisco e per il suo braccio “armato”: Equitalia, infatti, per conto di Agenzia delle Entrate, pretende versamenti sulla base di calcoli e supposizioni (per esempio gli studi di settore) e scarica sul cittadino l’onere di dimostrare che non sono dovuti. Per il giudice che ha dato ragione all’artigiano, invece, Equitalia può emettere cartelle «solo se è in possesso di requisiti validi e documentabili» per «giustificare le pretese degli enti pubblici per i quali agisce» e deve fornirne la prova materiale. La sentenza, sottolinea Aua, è «storica» e potrebbe aprire la strada alla cancellazione di centinaia di migliaia di cartelle.