Il Messaggero, 1 ottobre 2015
Pensionati all’estero in fuga dalle tasse: sono ben 383 mila gli italiani che si sono trasferiti in Paesi dal fisco più vantaggioso (praticamente tutti, tranne Usa, Australia e Paesi scandinavi) per godersi la meritata pensione senza lasciarne il 26% allo Stato sotto forma di prelievo Irpef. Boeri vorrebbe correre ai ripari, ma il governo non sembra particolarmente interessato, e la Uil Pensionati ammonisce: «Il presidente dell’Inps Boeri, invece di riflettere su come tagliare le pensioni dei nostri concittadini residenti all’estero, dovrebbe preoccuparsi di comprendere le motivazioni che spingono i nostri pensionati ad emigrare»
Tornano in Canada o in Australia dove erano già stati a caccia di fortuna negli anni ’60, si trasferiscono in Francia o Germania dove le imposte sono più moderate e magari per seguire i figli impegnati nei master universitari. Oppure mollano tutto e si godono il sole e il mare alle Canarie o in qualche spiaggia del Sud America. Insomma, ovunque tranne che in Italia. Sono 383 mila gli italiani che, dopo aver maturato i requisiti per la pensione, hanno salutato parenti e amici e si sono trasferiti all’estero. Il fenomeno, dati alla mano, è in forte crescita. Se nel 2011 erano stati poco più di 2 mila e 500 a fare questa scelta, nel 2014 il flusso è più che raddoppiato raggiungendo quota 5.345. Come a dire che la tentazione della fuga dalle tasse, dalla burocrazia e da un’esistenza giudicata, per ragioni personali, poco gratificante è sempre più forte tra i nostri connazionali. Soprattutto nella fase di riposo dopo una vita in fabbrica o in ufficio. L’Inps paga ogni anno 1,2 miliardi di euro per garantire a questi italiani la pensione maturata durante la propria carriera. Una cifra che, al netto, sarebbe molto inferiore se queste persone risiedessero ancora in Italia. Infatti, con il prelievo Irpef in azione, lo Stato trattiene mediamente il 26% della retribuzione lorda. Senza tenere conto, ovviamente, delle aliquote regionali e comunali e di Imu e Tasi versate a parte in ragione dell’eventuale possesso di un immobile.
I VANTAGGI
Ebbene trasferirsi all’estero, nella maggior parte dei casi, comporta un forte vantaggio fiscale. Prendendo la residenza in un altro Paese, il pensionato ha diritto a farsi accreditare in banca il trattamento al lordo senza le ritenute. E la cifra piena sarà poi decurtata dalle imposte secondo le regole tributarie in vigore nella nazione che ospita il pensionato di origine italiana. Dati Ocse alla mano, con l’eccezione dei Paesi scandinavi, degli Usa e dell’Australia, dal punto di vista fiscale è molto più vantaggioso essere pensionati altrove rispetto all’Italia. In Europa, ad esempio, l’aliquota media è 6 punti più bassa, per non parlare del Sud e centro America dove il peso fiscale è mediamente inferiore del 30%.
La questione del gap fiscale dei pensionati emigrati rispetto a quelli residenti in Italia è tornata alla ribalta negli ultimi giorni. Ed a riproporla è stato Tito Boeri nel corso della presentazione del Rapporto dell’Inps sulle pensioni all’estero. Boeri si è soffermato sulla necessità di riflettere sul sostanziale regalo che il nostro Paese fa pagando all’estero prestazioni non basate solo sul sistema contributivo.
I DANNI PER IL FISCO
«L’Italia – ha spiegato il presidente dell’Inps – è uno dei pochi paesi a riconoscere la portabilità extra Ue della parte non contributiva delle pensioni. Paghiamo – ha aggiunto – integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali a persone che vivono e pagano le tasse altrove, riducendo il costo dell’assistenza sociale in questi paesi. Mentre in Italia non abbiamo una rete di assistenza sociale di base. Perché non smettere di pagare prestazioni non contributive all’estero»?. Dal 2003 al 2014 oltre 36.500 persone (un terzo con la pensione di reversibilità) hanno deciso di passare all’estero la loro vecchiaia. «Questo fenomeno – ha sottolineato ancora Boeri a sostegno della sua tesi – erode la base imponibile. Molti pensionati ottengono l’esenzione della tassazione diretta e non consumano in Italia, con effetti quindi anche sulla tassazione indiretta. E il fenomeno non è compensato da flussi in ingresso di pensionati Inps che rientrano».
Secondo uno studio che filtra dall’Inps, ricalcolare le pensioni dei pensionati che si sono trasferiti all’estero con il metodo integralmente contributivo comporterebbe un risparmio di circa 200 milioni per le casse dell’Istituto. E, ovviamente, un cospicuo taglio delle prestazioni. Ma l’idea non riscuote molta popolarità nel governo alle prese con la costruzione della legge di Stabilità.
Anche perché modificare il sistema di calcolo delle pensioni penalizzando una determinata categoria di assistiti potrebbe non superare, di fronte ad un eventuale ricorso, la censura della Corte Costituzionale. «Il presidente dell’Inps Boeri, invece di riflettere su come tagliare le pensioni dei nostri concittadini residenti all’estero, dovrebbe preoccuparsi di comprendere le motivazioni che spingono i nostri pensionati ad emigrare» spiega il segretario generale della Uil Pensionati, Romano Bellissima. «Sono anni – aggiunge il sindacalista – che denunciamo il progressivo impoverimento dei pensionati, conseguenza della perdita del potere d’acquisto delle pensioni e dell’alta pressione fiscale cui sono soggette».