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 2015  ottobre 01 Giovedì calendario

La teoria della mano calda, ovvero la convinzione che, nel basket, chi ha appena fatto canestro abbia più chance di mettere dentro il prossimo tiro. Uno studio rivela che non è il frutto del caso. A metà fra scienza e suggestione, questa possibilità appassiona da decenni studiosi di ogni ramo. Basarsi sugli ultimi eventi per conoscere la prossima mossa è stuzzicante

È il sacro fuoco del tiratore. Uno stato di grazia che ne pervade i muscoli, dall’allineamento dei piedi al coordinamento del corpo, al movimento del braccio. Aguzza la mira, cancella i pensieri tranne uno: il cesto.
He’s on fire, per gli americani. La mano calda, ecco: la convinzione che chi ha appena fatto canestro abbia più chance di mettere dentro il prossimo tiro. Il Wall Street Journal ora rilancia uno studio di Joshua B. Miller, assistant professor in Scienze delle Decisioni alla Bocconi, e Adam Sanjurjo dell’Università di Alicante: per loro, la mano calda esiste. Avevano già affrontato il tema nel 2014, invitando alcuni cestisti semipro a un test: risultò non solo la maggiore precisione al tiro dopo un canestro appena realizzato, ma anche la possibilità di prevedere, e quindi scegliere, l’uomo in grado di realizzare un tiro decisivo. Ora, il nuovo documento diffuso due settimane fa aggiunge un elemento statistico, basato sulla monetina. Ogni lancio è indipendente, e le probabilità che venga fuori testa o croce sono sempre del 50 e 50, ma secondo la teoria, sulle brevi serie, a una testa segue più facilmente una croce (60 e 40). Ci sarebbe un fondamento alla percezione comune di chi predice il prossimo evento basandosi sull’ultima serie: vale per la monetina, vale anche per un tiro a canestro.
A metà fra scienza e suggestione, la teoria della hot hand appassiona da decenni studiosi di ogni ramo: la possibilità di assumere decisioni basandosi sugli ultimi eventi è stuzzicante, in Borsa come al tavolo verde. Finora, è stata bollata come «una grande illusione cognitiva di massa», secondo il premio Nobel Daniel Kahneman. Il testo di riferimento era lo studio dell’85 di Gilovich, Vallone e Tversky: esaminando le percentuali dei Philadelphia 76ers, dei tiri liberi dei Boston Celtics e di cestisti universitari di Cornell, conclusero spietati che la mano calda non esiste, è solo un’errata percezione: ogni tiro ha un destino tutto suo. In fondo, la storia è piena di cesti indovinati sulla sirena dopo una serataccia, e viceversa: il basket ha ragioni che la ragione non conosce.