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 2015  ottobre 01 Giovedì calendario

Delitto di Pordenone, i due fidanzati sono stati uccisi con una semiautomatica Beretta della Prima guerra mondiale. È in pieno fermento l’inchiesta sulla morte di Trifone Ragone e Teresa Costanza: si indaga soprattutto sul caporal maggiore Giosuè Ruotolo, collega e coinquilino del ragazzo, e su una misteriosa traccia da lui lasciata sul computer di un amico, che per un solo giorno s’è visto accusato di omicidio volontario

Un computer giudicato interessante, due nuovi indagati «fulminei» per omicidio, nel senso che sono stati iscritti nel registro nero del delitto per un giorno, il tempo di verificare la loro posizione e procedere alla richiesta di archiviazione, che la Procura depositerà formalmente oggi, e la pistola dell’assassino che a questo punto non è più un mistero: semiautomatica Beretta, modello 1922, brevetto 1915-1919, calibro 7.65 Browning. Praticamente un’arma della Prima guerra mondiale. L’indagine sull’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone, i fidanzati uccisi a Pordenone il 17 marzo scorso con sei colpi esplosi con quel vecchio arnese da sparo, vive giornate concitate. Perquisizioni, analisi, sequestri, indagati che entrano ed escono dall’inchiesta.
Il sospettato numero uno rimane lui, il caporal maggiore Giosuè Ruotolo, collega e coinquilino di Trifone, con il quale condivideva anche la passione della palestra, che sarà interrogato martedì prossimo dalla procura di Pordenone, come aveva sollecitato il suo avvocato, Roberto Rigoni Stern. Gli inquirenti stanno passando al setaccio tutto ciò che lo riguarda: macchina, case dove ha abitato, amici, colleghi.
La fidanzata, una giovane laureata in Giurisprudenza di Somma Vesuviana, è stata sentita per diverse ore. Le hanno chiesto del suo rapporto con Ruotolo, che frequenta da sette anni, con Trifone e Teresa, che lei sostiene di non aver mai visto, vivendo in Campania. Li avrebbe conosciuti dai racconti di Giosuè che con Trifone ha convissuto, fino a quando quest’ultimo decise di andare ad abitare con Teresa.
Un intreccio di relazioni sul quale stanno indagando a fondo gli inquirenti per cercare un movente al delitto. La Procura, sin qui sempre molto prudente, ora comincia a escludere qualche pista e punta sul rapporto personale del sospettato con le vittime. Rapporto che potrebbe aver lasciato una traccia nel computer sequestrato a uno dei due «indagati per un giorno», che abitavano con Giosuè. La richiesta di archiviazione, alla quale può teoricamente opporsi Ruotolo, è stata accolta con soddisfazione dall’avvocato Alberto Rumiel: «Il mio assistito, dopo aver saputo di essere indagato, ha chiesto di essere interrogato e ha chiarito la sua posizione fornendo elementi a discarico che evidentemente hanno convinto sulla sua innocenza».
Un sospiro di sollievo, dopo lo spavento per quella gravissima accusa: omicidio volontario. Ma cosa c’è di tanto importante in quel computer che ha portato a indagare anche su di lui?