Corriere della Sera, 1 ottobre 2015
Intervista a Staffan de Mistura, inviato speciale italo-svedese dell’Onu per la Siria, all’indomani del vertice tra Obama e Putin e dell’inizio dei bombardamenti russi: «Si sta aprendo uno spiraglio per la ripresa dell’azione politica e diplomatica. Ormai tutti comprendono che a Damasco è necessario l’avvio di un processo politico inclusivo. Se, invece, la parola resterà solo alle armi, è certo che per ogni mille siriani uccisi ce ne troveremo altri cinquemila arruolati e pronti a combattere, perché ormai convinti che l’unica soluzione possibile sia quella militare»
«L’ondata migratoria dei siriani in fuga dal loro Paese e, ora, l’intervento armato della Russia, spezzano, sia pure in modo doloroso e alquanto rischioso, lo stallo nella guerra civile in Siria: quel clima di attesa che ha portato a una sorta di cronicizzazione dei massacri quotidiani. Si apre uno spiraglio per la ripresa dell’azione politica e diplomatica. È sempre una situazione difficilissima, sia chiaro, ma la filosofia di chi fa il mio mestiere è che ogni crisi offre qualche opportunità».
Il mestiere del diplomatico italo-svedese Staffan de Mistura è, dal luglio del 2014, quello di inviato speciale dell’Onu per la Siria. Fin qui i suoi tentativi di mettere attorno a un tavolo le varie componenti politiche e della società siriana, dilaniata da una guerra spaventosa che ha fatto più di 200 mila morti e milioni di senzatetto, sono caduti nel nulla. Da otto mesi de Mistura dice che bisogna parlare anche con Assad, nonostante le atrocità commesse. Ora molti sembrano pensarla come lui. Ma non a Washington. Quella di ieri è stata una giornata drammatica con la sorpresa dei primi bombardamenti russi, ma de Mistura, uscendo da una tesissima riunione del Consiglio di Sicurezza, risponde alle domande del Corriere con espressioni di speranza.
Il vertice Obama-Putin ha dato qualche speranza, ma non sono stati fatti progressi significativi sui punti cruciali. E ora gli americani condannano l’iniziativa militare russa. Dagli incontri che ha appena avuto coi due ministri degli Esteri, Kerry e Lavrov, ha avuto sensazioni diverse?
«Quello che è stato detto di quel summit rispecchia la necessità, per ognuno, di mostare fermezza a sostegno delle sue posizioni. Sulla base delle informazioni che ho, le posso dire che il colloquio è stato utile e costruttivo molto più di quanto non si creda».
L’ostacolo resta Assad. Per gli americani la sua uscita di scena è una pregiudiziale. Tutto quello che fanno i russi va, invece, nella direzione del rafforzamento del regime. Lei ha segnali diversi?
«Dico solo che crisi come questa non si risolvono mai solo sul piano militare. In parallelo deve partire un processo politico per cercare di individuare nuove formule di “governance”. Questo lo sanno tutti: se si vuole evitare un’altra Libia vanno trovati meccanismi inclusivi tra le varie componenti della società, le istituzioni, lo Stato. Il tutto – interventi militari e azione politica – nel quadro delle due risoluzioni Onu che autorizzano ad intervenire contro due minacce terroristiche: quella che viene da Al Qaeda e da Daesh-Isis da un lato e quella di Al Nusra dall’altro».
I primi bombardamenti russi, che Mosca dice di aver diretto contro l’Isis, secondo gli americani e i francesi hanno colpito solo i ribelli «moderati» anti-Assad.
«Non ho mai commentato il merito di operazioni militari. Non l’ho fatto per quelle americane, non lo faccio ora per quelle russe. Ma ribadisco che l’Onu autorizza interventi solo contro Daesh-Al Qaeda e Al Nusra».
Nella situazione attuale, un’uscita di scena di Assad favorirebbe una sutura delle ferite più gravi in vista di un accordo o rischia di aprire un vuoto politico pericoloso?
«Nella mia posizione posso solo dire che l’avvio di un processo politico inclusivo a Damasco è assolutamente indispensabile: se ne rendono ormai conto tutti gli attori responsabili di questa vicenda. Se, invece, la parola resterà solo alle armi, è certo che per ogni mille siriani uccisi ce ne troveremo altri cinquemila arruolati e pronti a combattere perché ormai convinti che l’unica soluzione possibile sia quella militare».
Non c’è il rischio che i bombardamenti russi vengano usati dall’Isis per reclutare un numero ancora maggiore di foreign fighters?
«Certo, torniamo a quello che dicevo prima: se non si dà il segnale chiaro che oltre alle armi, sta lavorando anche la politica, sempre più gente andrà a cercare rifugio tra le braccia di chi vuole imporsi con la forza. Il terreno ideale per i terroristi. Almeno questo, qui, l’hanno capito tutti».