la Repubblica, 30 settembre 2015
La seconda opportunità còlta dalla Germania: 25 anni dopo l’unificazione (3 ottobre 1990), quello che ancora nel 1999 veniva definito dall’Economist «il malato d’Europa» è oggi un paese ammirato, invidiato e anche temuto. Merito soprattutto della lungimiranza politica dei suoi leader, da Kohl a Schröder, sui cui risultati la Merkel ha costruito il proprio successo. Ora però, dallo scandalo Volkswagen all’emergenza profughi, nubi minacciose si addensano all’orizzonte tedesco: riuscirà la Germania a confermare la propria egemonia, e a promuovere l’unificazione europea?
La Germania, ha scritto Fritz Stern, «ha ricevuto il più raro tra i doni della storia: una seconda chance», una seconda opportunità dopo che la prima, la Reichsgründung (la fondazione del Secondo Reich) del 1870 era finita nella spaventosa catastrofe del Nazismo. Oggi, a distanza di un quarto di secolo, possiamo dire che la Germania ha fatto buon uso di questa seconda occasione storica: è un paese ammirato (anche se qualcuno continua ancora a temerlo) e perfino invidiato. Non è certamente il migliore dei mondi possibili ma non è sicuramente il peggiore dei mondi reali. Insomma a 25 anni di distanza dalla sua riunificazione possiamo tranquillamente prendere atto che «così la Germania non è mai stata», per usare le parole di Kurt Sontheimer, uno dei massimi politologi tedeschi, che al pensiero reazionario e conservatore della Repubblica di Weimar ha dedicato saggi memorabili. A chi oggi capiti di viaggiare nei cosiddetti nuovi Bundesländer (le 5 regioni che formavano la ex Repubblica democratica tedesca) o di visitare città tornate a splendere come Dresda, Lipsia, Erfurt, la piccola Görlitz o la stessa Weimar risultano assolutamente incomprensibili, ideologiche e storicamente preconcette, le polemiche nei confronti dell’allora Cancelliere Helmut Kohl e delle scelte da lui compiute tra il 9 novembre del 1989, giorno in cui cadde il Muro di Berlino, e il 3 ottobre del 1990 quando venne proclamata la riunificazione della Germania. I fatti che com’è noto hanno la testa dura si sono incaricati di smentire le fosche profezie di Jürgen Habermas o di Günter Grass che si opposero alla riunificazione vissuta come possibile preludio di un IV Reich. O il timore di quanti sostennero che la “annessione”, così venne polemicamente definita la “adesione” dei Länder dell’est alla Repubblica federale, avrebbe mutato in senso anti-occidentale e “protestante” l’identità democratico- liberale e renano-cattolica della Repubblica di Bonn. Anche la pessimistica diagnosi stilata in quei giorni dall’ex Cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt secondo la quale destino delle regioni a est dell’Elba era quello di diventare un “Mezzogiorno senza mafia” non si è avverata. Ed è anche facile capire il perché: proprio quelle regioni dell’est, infatti, erano state a partire dalla fine dell’Ottocento uno dei centri della industrializzazione tedesca e della formazione del più potente e organizzato movimento operaio d’Europa. Condizioni storico-spirituale lontanissime, dunque, da quelle a fondamento della “questione meridionale” italiana. Certo, nonostante il massiccio trasferimento di risorse dall’Ovest all’Est del paese e una colossale opera di modernizzazione delle infrastrutture, resta un evidente divario di produttività e di ricchezza tra le due parti del paese. E la promessa fatta da Kohl nei convulsi giorni che cambiarono la storia tedesca e dell’intera Europa, che la ex Rdt sarebbe rapidamente diventata un “fiorente paesaggio”, si è rivelata cattiva propaganda elettorale. Continuano ovviamente a esistere inguaribili nostalgici del “socialismo in salsa prussiana”, gli Ossis, felicissimi di godere dei vantaggi materiali del Welfare occidentale (e dell’euro) e al tempo stesso sentirsi custodi della memoria di una utopia sia pure fallimentare. Ma un fatto è certo: la riunificazione del paese è sostanzialmente riuscita. Proprio in questi giorni l’ufficio centrale tedesco di statistica ha rilevato che per la prima volta dal ’90 si è interrotto il flusso migratorio a senso unico dalle regioni dell’est a quelle dell’ovest. Nel 2014, infatti, è transitato nelle due direzioni quasi lo stesso numero di persone: 97000 dall’est all’ovest e 93700 in direzione contraria. Si tratta di un dato significativo se si considera che tra il 1991 e il 2014 i Länder dell’est hanno perso per saldo un milione e duecentomila. Alla fine dello scorso secolo-millennio, nel 1999, una celebre copertina dell’ Economist aveva definito la Germania “il malato d’Europa”. Com’è stata possibile la prodigiosa metamorfosi che ha fatto della Germania la potenza egemone del Vecchio continente? Il grande merito va alle riforme indicate nella cosiddetta Agenda 2010 del governo “rosso-verde” guidato da Gerhard Schröder che ha realizzato la più radicale riforma dello Stato sociale nella storia del secondo dopoguerra tedesco e una strutturale riconversione del sistema economico-produttivo della Germania. Si è trattato di una decisione molto difficile per un leader della Spd, un partito quello socialdemocratico tedesco che dopo aver abbandonato il “mito” della lotta di classe aveva fatto della tutela dalla “culla alla bara” dei diritti sociali acquisiti la propria ragione esistenziale. Quella scelta riformista nel 2005 fece perdere alla Spd le elezioni e costò a Schröder il cancellierato. Proprio qualche giorno or sono in occasione della presentazione di una monumentale biografia a lui dedicata Schröder ha “weberianamente” difeso la decisione politica di allora: «Ieri come oggi», ha detto, «resto convinto che un vero politico deve avere il coraggio di cambiare le cose anziché farsi cambiare dal potere, e soprattutto, in nome dell’interesse del paese e dell’Europa, deve trovare dentro di sé il coraggio di fare scelte impopolari, magari anche difficilissime davanti ai suoi elettori, col rischio di perdere il potere: questo è quello che io chiamo senso di responsabilità». Con un gesto di fair play politico inusuale persino in Germania, la Merkel, che ha personalmente presentato la biografia del suo ex rivale, ha riconosciuto la lungimiranza di quella decisione: «Lui ha reso un grande servigio al paese» queste le parole della Cancelliera «con riforme economiche che ridussero i costi del welfare. A quelle riforme dobbiamo se la Germania oggi sta così bene». Ed è proprio sui risultati della lungimiranza del suo avversario che lei, Angela Merkel, ha costruito il proprio successo politico ed elettorale. E tuttavia nubi minacciose si addensano sul futuro politico ed economico della “grande Germania”. Lo scandalo della Volkswagen ha portato alla luce un male oscuro, un tarlo che potrebbe risultare esiziale per il funzionamento del Modell Deutschland (e del “capitalismo renano”). Anche la generosa scelta di accoglienza dei profughi è all’origine di un duro scontro tra la Merkel con il partito bavarese della Csu e con molti governi dell’est europeo: l’ungherese Orban ha accusato la Germania di “imperialismo morale” e il premier céco ha parlato addirittura di Diktat. Dopo aver guidato la Germania alla sua riunificazione Kohl non ebbe il coraggio di realizzare le riforme necessarie e si incamminò sul viale del tramonto politico. Vorrà, saprà la Merkel riformare la Germania come a suo tempo ha fatto Schröder? E al tempo stesso riuscirà a far funzionare la Germania da “catalizzatore” del processo di unificazione europeo?