la Repubblica, 30 settembre 2015
Disgustoso episodio di ordinario bullismo ad Andria: uomo disabile legato a un albero con del nastro adesivo, quindi fotografato e pubblicato su Facebook, tra il divertimento di molti e l’indignazione di alcuni. Ora però sarebbe bene che i giornali mostrassero il viso della vittima, anzitutto per gli autori dell’impresa: negli occhi smarriti di quell’uomo gentile potrebbero scoprire molto su loro stessi
Era dappertutto ieri la fotografia di un uomo legato stretto a un albero con una quantità di giri di nastro adesivo. Però era successo due mesi fa, ad Andria, illustre città storica della Puglia. L’uomo è descritto come alcolista e disabile – non so se disabile sia un sinonimo di alcolista – e oggetto abituale, e consensuale, degli “scherzi” di qualche annoiato. Perché l’abbiano legato in quel modo non si sa, forse è sembrata loro una trovata creativa, forse fra gli annoiati ci sono degli artisti contemporanei con un futuro. Una delle ragioni dev’essere la stessa che spinge a fare pressoché qualunque cosa: fare la fotografia e metterla sul blog, o su Facebook. Ce l’hanno messa, infatti, e lì, oltre ai gradimenti, ha suscitato lo sdegno di chi è restato umano. Finché la storia non è stata raccontata dalla Gazzetta del Mezzogiorno e rilanciata da una collaboratrice di Repubblica, Silvia Dipinto. La vita dell’uomo era deragliata vent’anni fa, dopo un matrimonio andato a male, la perdita del lavoro, l’allontanamento dai figli. Vive per strada, va volentieri incontro ai suoi spensierati schernitori, in cambio “di qualche spicciolo, di una birra”, forse soltanto della compagnia. Forse è contento, a suo modo, della parte che la comitiva gli assegna: far da manichino delle loro performance, lasciandosi tingere i capelli di verde, o rasare a zero, o mettersi in posa coi guantoni da boxe. Fino alla mummia di scotch contro l’albero, in pieno centro. Due mesi però sono molti, per coprire la distanza fra Andria e il resto d’Italia. Il sindaco, Nicola Giorgino, ha detto che l’uomo è seguito dai servizi sociali ma si oppone a un ricovero in una casa di assistenza. I promotori di un comitato di quartiere hanno auspicato che sia restituita la dignità «a un uomo che ci piace definire e chiamare fratello: un fratello dal volto gentile e umile che non ha mai fatto del male a nessuno». («Che non ha mai fatto del male a nessuno»: era la frase ripetuta da tutti a proposito di un altro uomo sfortunato, Andrea Soldi, che usava star seduto su una panchina di piazza Umbria a Torino). Dopo aver letto le innumerevoli versioni della storia riprese ieri dai giornali e i siti italiani, che ripubblicavano la fotografia tagliata all’altezza della barba, ho avuto e conservo un dubbio forte sulla scelta di non mostrarne il viso. Dipinto menziona «lo sguardo assente, gli occhi smarriti». Avrei voluto guardarli, benché rispetti la protezione che gli si vuole assicurare, come un piccolo risarcimento. Guardarli, chiamarlo col suo nome – Luca – mi sembrerebbe già un passo avanti verso la conoscenza degli autori della “bravata”, prima che siano riconosciuti e, loro almeno sì, mostrati, sguardo e occhi compresi, salvo che siano minorenni. Non a restituire occhio per occhio, gogna per gogna, e del resto, una volta che li si abbia davanti, gli autori di queste imprese, si scopre che sono normali, normalissimi: “tranquilli”, come diranno i loro condomini. I soli a poter scoprire qualcosa sarebbero loro, sul proprio conto, e anche su quello dell’uomo triste che hanno incerottato. Mentre cercavo qualche sito che avesse la fotografia non tagliata, e non l’ho trovata, forse perché è stata rimossa, o perché non sono capace, ho trovato invece un’altra cronaca di cui non mi ero accorto. Risale al 24 settembre: a Pordenone un uomo cinquantenne è stato condannato a tre anni e mezzo per le percosse e le angherie inflitte per anni alla moglie, di nazionalità romena. La signora ha testimoniato di essere stata legata nuda a un albero per una notte intera. Ha spiegato che «il marito voleva farle capire chi comandasse in casa».