Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2015
Omicidio del cooperante italiano Tavella, come ha fatto l’Isis ad arrivare in Bangladesh? Dopo un inizio in sordina, in un anno e mezzo il Califfato ha esteso la sua influenza dall’Africa all’Asia centrale e sud-orientale, e né Putin né Obama sembrano sapere come affrontare l’emergenza. La situazione attuale è figlia del fallimento della "guerra al terrorismo" mossa dall’Occidente dopo l’11 settembre 2001: in 14 anni si è passati dal "caos costruttivo" di cui parlava Condoleezza Rice al caos attuale, sterminato e inestricabile
Come nasce e si espande il Califfato? Un frammento significativo del nuovo arco della crisi mondiale si presenta il 1° giugno 2014, di ritorno dalla città cristiana di Maloula rasa al suolo dai jihadisti.
Il binocolo del generale siriano Sohil inquadra la bandiera nera dell’Isil che sventola sul quartiere di Douma, alla periferia di Damasco.
«Sono le milizie di Daish (Al-Dawlah Al-Islamiyah Al-Iraq wa Al-Sham) lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante che qui – afferma Sohil – hanno fatto fuori il fronte rivale di Jabat al-Nusra». Nusra è un’affiliazione di al-Qaeda e il Daesh è nato da una costola irachena dell’organizzazione fondata da Osama bin Laden.
Neppure il generale di Assad può immaginare che soltanto cinque giorni dopo, nella notte tra il 6 e il 7 giugno, i guerriglieri comandati da Abu Bakr Baghdadi conquisteranno Mosul, la seconda città dell’Iraq, con un’avanzata fino alle porte di Baghdad. Nasce, quasi ignorato dai media, un califfato sunnita nel cuore della Mesopotamia. Ma fuori dal Califfato il suo messaggio, un anno e mezzo dopo, si sta allargando dall’Africa all’Asia centrale e sud-orientale mentre ne discutono Putin e Obama, non sapendo forse né l’uno né l’altro che cosa fare davvero.
Questa vicenda probabilmente non la ignorava neppure un uomo esperto come il cooperante italiano Cesare Tavella, crivellato lunedì scorso da una raffica in una strada centrale di Dacca. Le autorità bengalesi non credono alla rivendicazione dell’Isis ma è sconcertante la rapidità e la precisione del messaggio dei jihadisti: poco più di un’ora dopo l’assassinio lo Stato islamico sul web indicava come era stato ucciso Tavella. Era entrato nel mirino degli islamisti, ma per quale motivo è ancora un mistero. È sintomatico che sia scattato subito l’allarme delle potenze occidentali in Bangladesh dove negli ultimi mesi le azioni dei radicali islamici e gli arresti dei jihadisti si sono moltiplicati. Anche l’antico Bengala, diventato indipendente da Islamabad nel ’71, è Dar el Islam, terra di Islam, come lo stesso Pakistan e l’Afghanistan, dove il Califfato è entrato in concorrenza da tempo con i Talebani: la presa di Kunduz è anche un messaggio che i vecchi padroni dell’Emirato afghano mandano all’Isis.
Qualche settimana dopo la comparsa in Siria alla periferia di Damasco, nella grande moschea di Mosul al-Baghdadi saluta l’uditorio e dopo il richiamo alla preghiera introduce il suo discorso con una breve prolusione: «Il Califfato – proclama – è un dovere per tutti i musulmani». È il 29 giugno del 2014: lo Stato islamico ha già messo le mani su un terzo della Siria e dell’Iraq.
La proclamazione del Califfato da parte dell’Isis nella persona del suo capo Abu Bakr Baghdadi poteva apparire folcloristica ma non è stato così. Il califfato, che ha origine dopo la morte di Maometto per rappresentare l’unità politica dei musulmani, fu trasferito nel 1500 al sultano di Istanbul, che agì come califfo di musulmani sunniti senza incontrare contestazioni fino all’abolizione da parte di Ataturk nel 1924. In quell’anno dell’Impero Ottomano non restava che un moncherino insignificante rispetto a un glorioso passato e la Turchia era diventata una repubblica laica e secolarista.
Il messaggio dell’Isis dal Levante arabo si propaga nel resto del Medio Oriente e ben oltre. In pochi mesi Baghdadi ha stretto alleanze dalla Libia di Ansar al Sharia ai movimenti islamisti all’Africa dell’Ovest. Il Califfato guarda l’Italia dalla costa africana che un tempo era il suo maggiore alleato e cliente nel Maghreb. Hanno giurato fedeltà all’Isis il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) in Algeria e una nuova branca dei jihadisti nel Maghreb, Jund al Khilafa (i soldati del Califfato). Nel Sinai egiziano, si è alleato con l’Isis Ansar Beit al Maqdis, il principale gruppo salafita locale e anche l’agitatore del jihadismo africano Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, si genuflette ad Al Baghdadi pronunciando la formula rituale «Che Allah ti protegga, Califfo».
Ma non si comprende questa ascesa fulminante del Califfato se non la si confronta con il fallimento della “guerra al terrorismo”. Dal 2001 gli Stati Uniti, sostenuti in alcuni casi dagli alleati, hanno condotto guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, e in maniera indiretta anche in Pakistan, Yemen e Somalia. Bilancio: lo stato libico è scomparso, lo stato iracheno sprofonda nel confessionalismo e nella guerra civile, il potere afghano vacilla e in Pakistan i jihadisti non sono mai stati tanto potenti. Condoleezza Rice, ex segretario di Stato, nel 2005 parlava di un «caos costruttivo» per giustificare la politica dell’amministrazione Bush, annunciando un futuro in cui sarebbe risuonato l’inno della democrazia. Dieci anni più tardi il caos è così esteso che non si sa neppure che da parte cominciare.