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 2015  settembre 30 Mercoledì calendario

Il malessere dei militari italiani. Un malessere fatto di paura e di rabbia. Paura per quei tagli alle risorse che, dicono, potrebbero metterli in un angolo sullo scacchiere internazionale. Rabbia per quella sensazione di essere spesso costretti, sul campo, a un ruolo di secondo piano

Bisognerebbe fare un salto a Taranto, stamattina. Sedersi davanti all’ormeggio 14 della Stazione Navale Mar Grande. Vedere l’apertura del ponte girevole, che è sempre uno spettacolo. E poi aspettare l’arrivo del pattugliatore di squadra Granatiere. Ci sarà la banda. Ci sarà, soprattutto, l’ultimo ammaina bandiera della nave e la radiazione dalla flotta militare.
Il Granatiere va in pensione. E nei prossimi 10 anni lo seguiranno quasi tutte le unità della Marina adesso in servizio: 51 su 60. È vero che nei prossimi anni arriveranno 26 navi nuove, più grandi e moderne. Ma la pensione di Granatiere e dei suoi fratelli è certa. Mentre i nuovi investimenti restano esposti al vento della politica, un vento che nemmeno i marinai riescono sempre a governare. All’ormeggio 14 di Taranto, stamattina, non arriverà solo una nave pronta all’addio alle armi ma il malessere dei militari italiani. Un malessere fatto di paura e di rabbia. Paura per quei tagli alle risorse che, dicono, potrebbero metterli in un angolo sullo scacchiere internazionale. Rabbia per quella sensazione di essere spesso costretti, sul campo, a un ruolo di secondo piano. Almeno ufficialmente.
Per capire meglio, da Taranto conviene tornare a Roma. Ed entrare nelle stanze dei ministeri dove proprio in queste ore si lavora alla Legge di Stabilità, quella che indica spese e risparmi dello Stato. Il ministero dell’Economia ha chiesto alla Difesa di tagliare dal suo budget 470 milioni di euro. Nulla di personale, ma il sacrificio imposto a tutte le amministrazioni in nome della spending review, la riduzione della spesa pubblica. Per la Difesa quel taglio non si può fare. Qualche settimana fa, in un documento trasmesso alle Camere, il ministero aveva parlato di «non sostenibilità finanziaria», di «disponibilità di risorse non coerente con le effettive necessità». Il solito tira e molla per limitare i danni? Forse. Ma adesso la Difesa ha messo sul tavolo la sicurezza per il Giubileo e la possibile partecipazione a nuove missioni internazionali. Con meno soldi, dicono, rischiamo di dover lasciare gli aerei a terra, almeno per l’addestramento.
In realtà proprio sugli aerei si potrebbe risparmiare. Per gli F35, i caccia americani che tanto hanno fatto discutere, si prevede l’anno prossimo un investimento da 530 milioni. Una mozione approvata alla Camera impegna il governo a valutare il dimezzamento della spesa. Ma per il ministero della Difesa, e non solo per loro, il tema è fuori discussione. Militari in trincea, e dove se no? Ma non si difendono solo dai tagli. Il nemico è anche quella fastidiosa sensazione sul ruolo che hanno (o possono dire di avere) quando sono impiegati all’estero. Per capire meglio, stavolta bisogna spostarsi da Roma verso le missioni fuori aerea.
C’è l’antica questione delle regole di ingaggio, cioè le condizioni che consentono ai nostri militari di sparare, spesso più rigide di quelle degli altri Paesi. Un problema che viene da lontano, mai risolto fino in fondo. Nella guerra del Golfo, quella dei piloti Bellini e Cocciolone abbattuti e fatti prigionieri, ci eravamo inventati la «difesa avanzata»: i nostri caccia potevano aprire il fuoco solo se erano stati presi di mira dalla contraerea nemica, mentre americani e inglesi sparavano senza dover aspettare nulla. Ma il punto, stavolta, è più radicale: dove siamo e cosa facciamo. Oggi l’Italia guida Eunavfor Med, missione europea anti scafisti davanti alle coste della Libia. Non c’è mandato che autorizzi l’uso della forza. In Siria, invece, l’Italia non c’è. Non direttamente almeno. Abbiamo mandato delle truppe speciali vicino al confine, nel nord dell’Iraq: addestrano i curdi che combattono contro l’Isis. E, sotto traccia, fanno un utilissimo lavoro di intelligence, sfruttato anche dagli alleati. Americani e francesi, invece, hanno cominciato con i raid.
Si può essere d’accordo oppure no sui bombardamenti e Matteo Renzi ha detto di non gradire. Ma quell’attività di confine, laterale, viene vissuta un po’ così dai nostri militari: lavoro di centrocampo mentre i riflettori si accendono da un’altra parte. A noi resta l’operazione Mare sicuro, sempre anti scafisti ma stavolta solo italiana. Qui l’uso delle armi, praticamente, non è previsto. Non è detto che sia un male. La settimana scorsa una motovedetta greca ha aperto il fuoco sugli scafisti, mancandoli e uccidendo otto migranti. Ma nei mesi scorsi per due volte gli scafisti hanno sparato contro navi di soccorso italiane senza ricevere risposta. «Non posso cambiare la direzione del vento ma posso orientare le vele», diceva Seneca. Ecco, a volte sembra che nemmeno le vele si possono manovrare. Forse, più dei soldi, il vero malessere dei nostri militari sta proprio qui.