30 settembre 2015
Pietro Grasso ha scardinato l’algoritmo creato dal leghista Roberto Calderoli, che aveva prodotto 75 milioni di emendamenti alla riforma del Senato. Se avessero dovuto dedicare un minuto a ogni emendamento, i senatori avrebbero dovuto fermarsi fino a domenica 18 maggio 2177. Per Salvini «Grasso dovrebbe vergognarsi». Ma «il regolamento del Senato è strutturato appositamente per dare ampio margine di discrezione al presidente» spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti. Il governo invece teme «trappole» e «imboscate» sui voti segreti sull’articolo 1
Il presidente del Senato Pietro Grasso scardina l’algoritmo creato dal leghista Roberto Calderoli, che aveva prodotto 75 milioni di emendamenti alla riforma del bicameralismo paritario, ma il governo non si fida temendo «trappole» e «imboscate» sui voti segreti potenzialmente prevedibili già per questo pomeriggio sull’articolo 1 (funzioni del Senato).
Anche a costo di utilizzare la «ghigliottina», il voto finale sul disegno di legge Boschi rimane fissato per il 13 ottobre per lasciare spazio, il 14, alle unioni civili che però ancora non sono state calendarizzate. Da quelle date non si scappa. Ma un incidente di percorso sui voti segreti sull’articolo 1 della riforma costituzionale potrebbe rovinare i piani della maggioranza che intende riconsegnare alla Camera, per la seconda lettura, un testo appena ritoccato. Il premier Matteo Renzi dice di non essere preoccupato: «Nessun ostruzionismo ci fermerà. Se Berlusconi vota le riforme sono felice ma non cambia nulla...». Invece il leader della Lega Matteo Salvini prima sconfessa l’ostruzionismo della sua Lega («Calderoli ha fatto tutto da solo») e poi dice che «Grasso dovrebbe vergognarsi». (CdS, Dino Martirano)
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«Dovrei sospendere i lavori dell’aula per 17 anni, per dedicare un minuto a ogni emendamento» ha detto ieri il presidente Grasso. Si sbagliava. Se lui non avesse disinnescato con un solo aggettivo – «irricevibili» – i 72 milioni di emendamenti, la bomba a orologeria sganciata su Palazzo Madama dal perfido Roberto Calderoli, i senatori avrebbero dovuto fermarsi fino a domenica 18 maggio 2177, lasciando in eredità la riforma della Costituzione ai nipoti dei nipoti dei loro nipoti. Perché solo per stabilire se quegli emendamenti fossero ammissibili, dedicando a ciascuno di essi appena un minuto e lavorando per 24 ore al giorno senza fermarsi mai, ci sarebbero voluti 161 anni, sette mesi e 21 giorni. E nel frattempo il palazzo del Senato sarebbe scomparso sotto le 41 mila 650 tonnellate di carta che sarebbero servite per distribuire le copie di quegli emendamenti, ovvero 20 mila 570 volumi per ciascun senatore. L’opera omnia del Calderoli emendatore avrebbe occupato da sola il doppio dello spazio della biblioteca Leopardi di Recanati. Uno scenario da incubo, dissolto ieri mattina grazie alla formula magica di Grasso: «Irricevibili». (Messina, Rep).
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L’idea dei bersaniani è addirittura quella di riuscire a ritardare l’approvazione della legge. Gli uomini della minoranza ne parlano apertamente tra il Senato e la Camera. Non puntano più in alto. Basterebbe loro creare qualche altra difficoltà al leader del Pd. Una battaglia mediatica più che altro (Meli, CdS)
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A cosa si riferisce quando dice che la decisione di Grasso è solo l’antipasto?
«Intanto la premessa è che il regolamento del Senato è strutturato appositamente per dare ampio margine di discrezione al presidente».
Quindi questo regolamento non andrebbe cambiato per evitare che si ripeta quello che è successo?
«Non è necessario. Il presidente del Senato ha deciso in base al calendario stabilito dalla conferenza dei capigruppo e alla funzionalità dell’aula che richiede un esame serio degli emendamenti. Anzi, questo regolamento del Senato mette nelle sue mani un’arma nucleare prevista dall’articolo 102 comma 4: ha la facoltà di modificare l’ordine delle votazioni quando lo ritiene opportuno ai fini dell’economia e della chiarezza. Questo legittima strumenti drastici come il famoso “canguro”, accorpando emendamenti simili o che hanno parti letterarie comuni. Secondo me in una decina di votazioni verranno fatti fuori i 500 mila emendamenti rimasti». (Stefano Ceccanti, costituzionalista, a La Mattina della Stampa)